Nella compagnia delle isole, la cordata preferita da Palazzo d’Orleans a Ustica Lines e Caronte per rilevare Siremar, c’è un solo siciliano: si chiama Sergio La Cava ed è imputato di concorso esterno.
È stata scelta dalla Regione in barba a una cordata tutta siciliana. Eppure i soci della Compagnia delle Isole, l’azienda che ha rilevato la Siremar e con questa il servizio di collegamento fra la Sicilia e le isole minori, sono al centro di alcune controversie giudiziarie: se negli ultimi giorni ha destato scalpore il caso di Franco Del Giudice, il patron della Delcomar finito ai domiciliari con l’accusa di truffa, false attestazioni e produzione e utilizzo di fatture false (alla vicenda che lo riguarda è dedicato un box in queste pagine), l’accusa più grave è quella rivolta a Sergio La Cava, amministratore delegato della Navigazione Generale Italia, una delle aziende confluite nella Compagnia delle isole. Per lui l’accusa, ancora al vaglio del primo grado al tribunale di Messina, è molto più pesante: concorso esterno in associazione mafiosa.
Chi è La Cava.
La Cava. 49 anni, è stato vice presidente del consiglio provinciale di Messina all’inizio dello scorso decennio, eletto in quota An. L’accusa che riguarda La Cava – già responsabile del settore giovanile del Messina Calcio e socio di Carlo Borella, presidente dell’Ance inquisito per presunti rapporti con la mafia – riguarda il suo passato di presidente della società mista di raccolta rifiuti Messinambiente. Formata dal Comune di Messina, la provincia, il Comune di Taormina, Messinambiente è nata alla metà degli anni ’90 insieme ad un partner privato che ha assorbito il personale delle molte coop che precedentemente effettuavano il servizio di raccolta e smaltimento per conto direttamente del Comune. Un partner conosciuto anche lontano dal messinese, la Altecoen della Gulino Group, la holding del fratelli Gulino di Enna. Il patron è Francesco Gulino, ex presidente di Assindustria Enna, legatissimo allo stoico esponente della sinistra siciliana, Vladimiro Crisafulli. Messinambiente venne commissariata dal Tribunale nel 2004 perché i meccanismi contabili e contrattuali che regolavano i rapporti tra partner privato ed enti locali era palesemente a scapito di questi ultimi, a fronte di un servizio scarsissimo. Poco prima i vertici societari, presidente LA Cava compreso, vengono invece travolti da un’inchiesta giudiziaria. Si tratta della mega informativa “Smalto”, la madre di tutti i report delle Forze dell’Ordine sulle ecomafie in Sicilia. Uno dei due procedimenti scaturiti dall’indagine è ancora in primo grado e vede appunto La Cava alla sbarra con la pesante accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Il processo sta andando per le lunghe, tra il rinvio da una sezione ad un’altra per incompatibilità e tra una udienza e un’altra, cammina alla media di un paio di udienze l’anno. Insieme a La Cava, imputati ci sono boss mafiosi messinesi, qualcuno oggi al 41 bis, e gli ex vertici della società mista.
IL BUSINESS DEI RIFIUTI.
Sergio La Cava era, in Messinambiente, il presidente nominato dagli enti locali in rappresentanza della parte pubblica. La Dia, indagando sul business rifiuti, scopre però che la società è stata trasformata in un gioco di scatole cinesi che triplica i costi per il pubblico e fa da ombrello al privato perché si consumino i più disparati reati: dallo smaltimento illecito dei rifiuti alle assunzioni tra le fila dei dipendenti di uomini legati ai clan cittadini. Manovalanza in qualche caso “adoperata” per fare pressione sul partner pubblico quando questo, messo di fronte all’evidenza che l’esperimento della società mista si è rivelato un fallimento, vorrebbe rescindere il contratto. E che in altri casi “striscia il badge” poi torna alle attività delinquenziali. A far ritenere agli inquirenti che la situazione fosse questa è stata una conversazione intercettata, tra le altre, nella quale alcuni dirigenti della società mista parlano di lavoratori che risultano in servizio ma “vanno a sparare”. “Troviamo una soluzione, basta che non tocchiamo gli equilibri” dice invece in un’altra conversazione intercettata proprio La Cava all’amministratore delegato Tonino Conti. Di quali equilibri si tratti è Conti a spiegarlo, in una ulteriore chiacchierata con un dipendente, nella quale fa riferimento al colloquio con La Cava e chiama in causa i vari clan cittadini.” L’accusa che gli inquirenti muovono a La Cava, intercettazioni alla mano, è di essere stato perfettamente consapevole di tutto quel malaffare. Nel febbraio 2004 la Dda di Messina chiede l’arresto di 25 persone tra boss mafiosi locali e vertici aziendali. Tra i coinvolti eccellenti anche lo stesso Crisafulli e l’amico Totò Cuffaro, indagati e subito archiviati per fuga di notizie sull’inchiesta. Richiesta respinta dal Giudice per le indagini preliminari che sospende per due mesi presidente e amministratore delegato. Nel maggio successivo, però, il Tribunale del Riesame da ragione alla Procura e la Cassazione, nel marzo 2005, conferma la sentenza del Riesame, aprendo le porte del carcere per 10 persone, 5 delle quali erano già in carcere. Qualche giorno di galera nel carcere di Gazzi tocca anche a La Cava, poi scarcerato perché nel frattempo le esigenze cautelari erano venute meno.
GLI ALTRI AFFARI DI LA CAVA.
All’inizio del decennio scorso La Cava, oltre che uomo del senatore barcellonese Mimmo Nania, era anche il partner dei Franza e per loro guidava il settore giovanile del Messina Calcio. Proprio in quegli anni la società giallorossa si trova al centro dello scandalo plusvalenze, poi sfociata nel processo, anche questo ancora in corso, per doping amministrativo. Un altro grosso affare che ha visto coinvolto La Cava –uomo crocevia è la Duomo srl, società costruttrice di un contestato palazzo, ancora in opera, tra la Provincia Regionale e il Duomo, appunto. Dubbi sull’architettonica complessiva della costruzione in pieno centro storico a parte, infatti, scavando per realizzare le fondamenta della palazzina vennero alla luce importanti reperti di epoca neolitica. Raggiunta l’intesa con la Soprintendenza, il progetto va avanti e i lavori anche, pure se ormai da quasi 7 anni. Un po’ troppo, forse, per una palazzina a cinque piani. Alla formazione comunque la Duomo srl coinvolge un nutrito e blasonato parterre imprenditoriale locale. La società a responsabilità limitata, con sede in via Ugo Bassi (originariamente era in via La Farina), è stata costituita il 6 luglio del 1999 con un capitale sociale versato di 85.565 euro. Presidente del consiglio di amministrazione è l’ormai noto Antonino Giordano, una serie di costruttori riferimento di altri grossi imprenditori della zona, poi Carlo Borella, presidente dell’Ance messinese, indagato per i rapporti con clan barcellonesi. Ma questa è un’altra storia
LE DISAVVENTURE DI DEL GIUDICE, IL SOCIO SARDO FINITO AI DOMICILIARI.
Per andare ad arrestarlo i finanzieri hanno utilizzato i suoi traghetti. Del resto il mare in Sardegna è cosa sua. Franco Del Giudice, uno degli uomini chiamati a rilanciare il servizio ex Tirrenia, a metà novembre è finito ai domiciliari con le accuse di truffa, false attestazioni e produzione e utilizzo di fatture false. L’armatore, patron del Delcomar, avrebbe creato un gioco di scatole cinesi che attraverso associazioni sportive e onlus ha permesso una colossale evasione fiscale: oltre 3 milioni di euro, dal 2004 al 2010, attraverso fatture false o gonfiate per sponsorizzazioni sportive di vario genere. L’armatore sardo, che è anche commercialista ed è stato sindaco de La Maddalena, è nel mondo degli armatori dagli anni ’80, quando ha ereditato l’azienda del suocero. Nel 2010 la Delcomar aveva dipendenti con i quali garantiva i collegamenti tra le isole e la Sardegna, fattura sei milioni l’anno. Proprio negli anni ’80 sbarca in politica con i repubblicani: dal 1988 al 1990 è stato sindaco di La Maddalena, poi negli anni successivi assessore comunale. Per lui l’approdo in Tirrenia arriva al secondo tentativo: già nel 2010 era strato protagonista della cordata, poi fallita, inc compagnia dell’armatore Salvatore Lauro. Un mese dopo l’accordo, gli arresti. Del Giudice è ai domiciliari per un’evasione fiscale realizzata attraverso diverse società, da quella sportiva diretta dal campione di sci nautico “Jeff” Onorato, la “Sci club Saint Tropez”, alla “Maddalena” militante nel campionato C1 di calcio a 5, passando per la onlus Endas onlus. ALESSANDRA SERIO - DAL SETTIMANALE ‘S’ - n. 45, anno 6
Nessun commento:
Posta un commento