Licia Satirico per il Simplicissimus
D’ora in avanti si potrà essere prosciolti perché il fatto non sussiste, perché non costituisce reato o perché il reato è innocuo: la Camera sta per varare l’assoluzione «per particolare tenuità del fatto», aggiungendo al codice di procedura penale l’art. 530 bis. La tenuità dell’offesa sarà desumibile dalle modalità della condotta, dalla sua occasionalità e dall’esiguità delle conseguenze dannose o pericolose. I reati particolarmente gravi (solo rapine, omicidi e stupri) e i delinquenti “non occasionali” resteranno fuori dall’ambito di applicazione della nuova disposizione, definita dagli entusiasti relatori “un articolo rivoluzionario, pietra miliare sulla via della depenalizzazione” e dai leghisti detrattori un provvedimento “svuota processi”.
Di articolo “rivoluzionario” non può certo parlarsi: l’improcedibilità per particolare tenuità del fatto è stata già introdotta nel 2000 dall’articolo 34 della legge sulla competenza penale del giudice di pace. I suoi presupposti applicativi sono gli stessi elementi ora richiamati dall’art. 530 bis: esiguità del danno o del pericolo, occasionalità dell’episodio criminoso, basso livello di colpevolezza ed eventuale pregiudizio sociale dell’imputato a seguito della sentenza di condanna. Applicata per anni solo in rapporto a ipotesi marginali di guida in stato di ebbrezza, l’improcedibilità per particolare tenuità è stata sempre più spesso utilizzata come argine contro l’assurdo reato di clandestinità “salvato” dalla Corte costituzionale. Una curiosa assonanza lessicale lega dunque tenuità, clandestinità e imbecillità del legislatore.
D’altro canto, la giurisprudenza della Cassazione tenta da anni di individuare una soglia di ragionevolezza sotto la quale il reato non sia configurabile, per evitare di ingolfare le aule giudiziarie con procedimenti per fatti di limitata entità: nascono così le sentenze, spesso godibili, che escludono la detenzione di stupefacenti a fini di spaccio in caso di coltivazione “ornamentale” di marijuana o di un suo uso “a fini religiosi”, o quelle che negano il peculato telefonico se il pubblico ufficiale abbia fatto solo due chiamate personali al mese dalla linea dell’ufficio.
Non può parlarsi nemmeno di una norma “svuota processi”, perché la parte offesa potrà comunque utilizzare il decreto di proscioglimento per avviare una causa civile contro l’autore del fatto: ammesso e non concesso che il processo penale diventi più agile per l’archiviazione dei fatti “tenui”, il lentissimo processo civile si arricchirà di un contenzioso considerevole.
In realtà, l’idea di un’estensione generalizzata del proscioglimento per particolare tenuità non convince per molte ragioni. Non convince la scelta di affidare al magistrato un potere discrezionale che sconfina nell’arbitrio per la valutazione dei fatti “innocui” e “non innocui”: per usare lo stesso esempio del relatore Lanfranco Tenaglia, chi potrà dire in quale contesto il ladro di mele è “innocuo”? E sarà innocuo il furto di mele, di mutande, di merendine? Ci saranno falsi in bilancio “innocui”, corruzioni “innocue”, abusi lievi come una carezza?
Non convince, poi, la scelta di affidare al giudice togato il compito di ridare equità a un apparato sanzionatorio caratterizzato, per alcune tipologie di reati, da inusitato rigore e, per altre, da inusitata clemenza. Giusto per fare un esempio in tema di fatti relativamente “innocui”, la pena detentiva minima per lo spaccio di cannabinoidi è oggi il doppio di quella prevista per le lesioni personali gravi dolose e pari, di fatto, a quella delle lesioni personali gravissime; è dodici volte più grave di quella comminata per l’omicidio colposo e superiore anche a quella prevista per la violenza sessuale. Il massimo edittale supera invece quello fissato per l’omicidio preterintenzionale e per il tentato omicidio volontario, oltre ad essere il doppio di quello della violenza sessuale. Il falso in bilancio, per contro, è diventato una banale contravvenzione, punibile a querela e solo dopo il superamento di una determinata soglia: si prescrive con facilità superiore a quanto non accada per i delitti di corruzione, “pensiero fisso” di una Guardasigilli che esclude ritorni al passato.
Nel bene e nel male, i momenti “rivoluzionari” per la tenuta di un sistema penale con un codice vecchio di ottantadue anni devono ancora arrivare. Passeranno forse attraverso la modifica (utopistica?) della prescrizione, la riscrittura dei delitti di corruzione e la rimodulazione degli uffici giudiziari annunciata da Paola Severino. Passeranno attraverso la scelta di abrogare le leggi ad personam, di riprendere o abbandonare lo smantellamento delle intercettazioni come strumento investigativo, di accantonare una volta per tutte la prospettiva di un processo “breve” ma per nulla innocuo. In tutto questo la particolare tenuità del fatto sembra proprio uno specchietto per le allodole: una parvenza di innovazione dietro sapienti manovre di restaurazione.
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