Pare che questo governo sia cauto coi forti e temerario coi deboli. Prudente quindi con evasori, corrotti e corruttori, fan del personalismo e della prevalenza dell’interesse privato. Che sono pochi. Spericolato con i già identificati come possibili vittime, con i marginali, con i provvisori. Che sono sempre di più.
La Ministra Severino, dopo aver sbrigativamente liquidato, rinviandole a un futuro non necessariamente prossimo, le misure di lotta alla corruzione, si dedica a una ingiustizia sommaria intervenendo con interventi “tecnici”, come si addice al governo del quale è membro illustre, sul bubbone carcerario. Che è proprio uno di quei settori nei quali la “tecnica” dovrebbe mettere in campo strumentazioni utili al mantenimento dei requisiti di giustizia e democrazia.
La giurisprudenza internazionale è impegnata, si sa, sui cosiddetti diritti di seconda generazione (economici e sociali) in aggiunta a quelli primari e tradizionali (politici e civili) e lo fa basandosi sulle condizioni degli stati-nazione, qualificando certi diritti materiali come ciò che i cittadini possono pretendere dal Paese in cui vivono.
Evidentemente noi cittadini nativi o ospiti, siamo condannati, ancora prima a essere giudicati, ad avere poche pretese rispetto alle potenzialità di giustizia dell’Italia. E il carcere è proprio il teatro dove si consuma esemplarmente il delitto contro l’uguaglianza, la solidarietà e l’oltraggio contro la giustizia uguale per tutti.
La salvaguardia della dignità e il rispetto dei cittadini – anche di quelli che hanno sbagliato e devono pagare – dovrebbe rappresentare un valore della civiltà e della democrazia irrinunciabile. Dai dati del ministero della Giustizia aggiornati al 31 ottobre 2011, emerge che la capienza regolamentare dei 206 istituti penitenziari italiani è di 45572 posti, a fronte però di una popolazione carceraria effettiva di ben 67510 persone. Di esse, 24458 sono di nazionalità straniera. Più di 14000 sono in attesa di giudizio e solo 37595 sono già condannate in via definitiva. I suicidi nelle carceri italiane, sono stati 690 dal 2000 al 2011, una cifra che tutti dobbiamo soffrire, ha ricordato proprio la Guardasigilli, come il “segno del fallimento di tutto il sistema giudiziario e carcerario”.
Ma abbiamo imparato a nostre spese che questo governo pensa di praticare l’equità applicando dei cerottini su ferite larghe e sanguinanti, limitando facoltà conquistate, operando amputazioni, indirizzando risorse a colmare buchi incolmabili, senza intervenire con decisione sulla struttura del sistema. Così il decreto che non a caso è stato chiamato “svuota-carceri” non propone nulla di decisivo e riformatore, fa dell’emergenza l’occasione per proporre misure straordinarie, fisiologicamente predisposte all’autoritarismo e alla repressione magari solo più garbato, scaricando la pressione di un orrore italiano, censurato anche dall’Europa, su un espediente, quello di trovare un parcheggio temporaneo, un “luogo in cui la persona sia momentaneamente trattenuta in attesa di essere portata in tribunale”. Il “luogo” sarebbe una camera di custodia provvisoria negli uffici della pubblica sicurezza.
Una caratteristica dei prestati alla politica dopo tanti anni di spettacolarizzazione deve essere quella di aver visto troppi telefilm americani o francesi, con gli uffici dello sceriffo o della Gendarmèrie, attrezzati di celle spartane ma efficienti, sistemi di sorveglianza efficaci e un viavai di personale di custodia.
Così a riportare alla sconosciuta e dura realtà la Ministra cinefila ci hanno pensato proprio i funzionari e i sindacati di polizia: “Non siamo affatto convinti che tenere un soggetto 48 ore in uno spazio strettissimo con uno giaciglio in muratura ed una coperta, senza una finestra ed un bagno sia meno traumatico che andare in carcere dove nella cella troverebbe un letto pulito, un pasto, un servizio igienico, assistenza sanitaria ed un ora d’aria, servizi che la polizia non è assolutamente in condizione di assicurare”.
Inquieta che un ministro “tecnico” non abbia considerato questo aspetto. E le forze dell’ordine legittimamente e fermamente richiamate di continuo alla consapevolezza del ruolo di garanzia e custodia di diritti e libertà democratici, hanno pensato bene bene di rammentarle che non fa parte dei loro doveri anche quello di tenere come “canari” uomini ridotti ad animali in gabbia, magari ammanettati a un’inferriata o a un radiatore. E sempre loro rilevano il rischio di ripercussioni sulla sicurezza collettiva: “per “custodire” i 21.000 detenuti coinvolti nel cosiddetto fenomeno delle porte girevoli, che incidono mediamente per soli 115 posti giornalieri”, scrivono in un comunicato, “ si metterebbe in crisi il sistema di controllo del territorio. Infatti significherebbe privare al territorio un servizio per 24 ore di 115 volanti essendo necessari due agenti per quattro turni di 6 ore per sorvegliare un arrestato con le strutture attuali. Ogni 100.000 abitanti c’è un servizio di 2 o 3 volanti al massimo, perciò è come se rimanesse priva di controllo del territorio in modo random ogni giorno un’ area con 10 milioni di italiani, un costo assolutamente insostenibile per la sicurezza dei cittadini”.
E magari sarebbe anche opportuno che si esprimesse un altro ministro di questo governo che rivela una certa estemporaneità e incapacità di coordinamento, quello della Cooperazione cui non può sfuggire la lesione dei diritti, quell’orrendo misfatto bianco che si compie nel carcere. Lo straniero, secondo Platone, separato dai suoi concittadini e dai suoi cari, dovrebbe ricevere più amore da parte degli uomini e degli dei. Anche se sbaglia. E sappiamo che qui il più delle volte sbaglia per disperazione, perché non ha scelta, perché non c’è alternativa alla trasgressione, perché non ha nulla da perdere, nemmeno la libertà se lo trattiamo come condannato all’ineluttabile servitù. Penalizzati dal castigo di reiterare la loro colpa e destinati a essere rifiutati e emarginati.
È terribile pensare che le sorti della cittadinanza siano affidate a qualcuno che agisce consapevolmente o inconsciamente, che forse è peggio, come se fosse fatale e inesorabile la disuguaglianza tra individui, tra persone, tra lavoratori, tra generazioni, tra sessi, tra diritti, qualcuno più uguale degli altri.
Anna Lombroso per il Simplicissimus
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