Medici e avvocati al servizio di “Gambazza”. Col boss di S. Luca arrestati moglie, figlio, un sanitario del 118, un penalista e il direttore di una clinica di Mendicino. Il boss ordina, il dottore obbedisce: «Scrivi che ho crisi e voglio suicidarmi»: Si fingeva malato per non finire in cella. Giuseppe Pelle detto “Gambazza” aveva giocato in forte anticipo.
Il boss della ‘ndrangheta di San Luca sapeva bene che certe malattie sono incompatibili con il regime detentivo. Così, con la complicità di medici compiacenti aveva collezionato certificazioni attestanti che era affetto da “sindrome depressiva maggiore con tratti psicotici e manifestazioni melanconiche”, una patologia astratta, alquanto difficile da provare.
Dopo un paio di scarcerazioni, al terzo tentativo il piano del boss è stato scoperto. E le conseguenze si sono manifestate con l’arresto di due medici e un avvocato con l’accusa di falsità ideologica commessa nelle vesti di pubblico ufficiale, con l’aggravante delle finalità mafiose. È stata un’inchiesta dei carabinieri a scoprire il diabolico piano di Pelle che nel 2005 e nel 2008 aveva funzionato consentendo al boss di uscire dal carcere. Tutto era basato sull’utilizzo di una voluminosa cartella clinica precostituita, fatta di falsi certificati, esami specialistici attestanti una patologia inesistente.
La scoperta è stata fatta grazie alla famosa microspia a suo tempo piazzata dal Ros nell’abitazione di Bovalino dove il boss risiede con la famiglia. Intercettando i dialoghi con quanti si recavano a fargli visita gli inquirenti sono riusciti a identificare non solo i capi di altre cosche e i politici in cerca di sostegno elettorale (arrestati i due precedenti fasi della stessa inchiesta), ma anche alcuni “colletti bianchi” compiacenti. All’alba di ieri è scattata l’operazione “Ippocrate”, quarta fase dell’inchiesta della Dda denominata “Reale”.
I carabinieri del Ros e del Comando provinciale hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare a carico di sei persone. In carcere sono finiti Guglielmo Quartucci, 59 anni, di Celico (Cosenza), medico responsabile della casa di cura privata per malattie neuropsichiatriche “Villa degli Oleandri” di Mendicino (Cosenza), di cui è anche socio (le sue quote sono state sottoposte a sequestro), Francesco Moro, 57 anni, di Bagaladi, all’epoca dei fatti in servizio al 118 di Locri, e Marianna Barbaro, 45 anni, moglie del boss. Lo stesso provvedimento firmato dal gip Vincenzo Pedone è stato notificato in carcere a Giuseppe Pelle e a figlio Antonio, 25 anni. Ai domiciliari è finito, invece, un avvocato del foro di Cosenza, Francesco Marcello Cornicello, 39 anni. A casa di Quartucci, durante una perquisizione, i carabinieri hanno trovato 135 mila euro in contanti. Tre gli indagati in libertà: il medico psichiatra in servizio nel carcere di Cosenza, Giuseppe Moro, fratello di Francesco; Rosaria Quartucci, sorella di Guglielmo, direttore sanitario di “Villa degli Oleandri”; Mario Puntillo, dipendente della Telecom (a lui, secondo l’accusa, si era rivolto Quartucci nel tentativo di accertare se le sue utenze telefoniche fossero sottoposte a intercettazione).
I particolari dell’operazione sono stati resi noti in conferenza stampa dal procuratore Giuseppe Pignatone, insieme con il comandante del Ros, gen. Antonio Parente, il col. Pasquale Angelosanto, il suo vice, ten. col. Carlo Pieroni, il comandante del ros provinciale ten. col. Stefano Russo, il maggiore Michele Miulli. A portare i carabinieri sulle tracce dei medici, come detto, sono state le intercettazioni. Dai colloqui a casa Pelle è tracimata l’esistenza (mutuando l’espressione usata dal gip) di un «bacato reticolo di rapporti». Significativa una frase pronunciata da Francesco Moro nel rassicurare il boss che per certificare falsamente la sua malattia avrebbero messo in scena «un film… bello pulito». Tutto predisposto nei dettagli: Pelle doveva simulare un malore dovuto al suo stato d’ansia e poi far chiamare il 118 da un congiunto.
Ci avrebbe pensato il dott. Moro a soccorrerlo, curarlo e certificare la grave patologia depressiva. Pelle, però, si sarebbe avvalso di altri professionisti. In particolare di Quartucci che già in passato lo aveva fatto ricoverare a “Villa degli oleandri”, diagnosticandogli la “depressione maggiore”. L’aiuto, secondo l’accusa, emergeva da una intercettazione del 1 settembre 2010, dopo l’arresto di Pelle. Quartucci ribadiva di assecondare le richieste di Pelle perché sapeva delle sua appartenenza alla ‘ndrangheta («…mi hanno mandato, da Reggio, i Pelle! … il secondo giorno venivo ammazzato… Dice che il padre, è il vangelo, era…»). E giustificava il suo assoggettamento alla potente famiglia mafiosa («la legge? Se ne frega di te! Quando venivano quelli da Reggio, i Pelle i così… che gli dicevo “non ti visito”? Quelli il secondo giorno venivano qua e mi mangivano»).
Le indagini hanno avuto anche il riscontro delle parole di un collaboratore di giustizia, Samuele Lovato, un tempo affiliato al clan Forastefano operante nell’alto cosentino. Ma Quartucci, secondo l’accusa, non aveva favorito solo il boss. Per gli inquirenti avrebbe “aiutato” anche un poliziotto, Andrea Conforti, arrestato per il tentato omicidio della moglie. Grazie al medico e all’intercessione del suo difensore, l’avv. Cornicello, il poliziotto era tornato in libertà nel giro di pochi mesi. Paolo Toscano - GDS
***************
Samuele Lovato, l’ex picciotto di Cassano diventato “professore” in psichiatria.
Il maestro dell’inganno. Samuele Lovato, 37 anni, detto “il siciliano”, ex picciotto del clan Forastefano di Cassano, è uno psichiatra mancato. Senza laurea in Medicina ma con un lungo “tirocinio” nella casa di cura “Villa Verde” di Cosenza, è diventato il miglior “medico dei pazzi” possibile per un incredibile numero di ‘ndranghetisti “depressi”. Già, perchè il “male oscuro” – così lo definiva Indro Montanelli – è diventata da qualche anno la patologia più sicura per scampare alla galera e ai rigori del 41 bis. Lovato l’ha rivelato ai magistrati antimafia di Reggio Calabria con disarmante chiarezza. Per ottenere le scarcerazioni occorre soffrire di «depressione maggiore». E occorre godere della complicità di consulenti compiacenti che attestino condizioni patologiche non compatibili con la detenzione carceraria e con la residenza in strutture sanitarie carcerarie. (da: enricodigiacomo)
Nessun commento:
Posta un commento