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lunedì 6 febbraio 2012

La grande colata di cemento


L'ECOMOSTRO di ARBUS, in Sardegna

articolo di Valerio Valentini per Byoblu.com

L’importante è chiedersi quale paese vogliamo consegnare ai nostri figli e agire di conseguenza. È scontato: tutti risponderanno di voler consegnare un paese migliore. Ma questo, in concreto, cosa significa? Un paese migliore è soltanto quello con uno spread più basso o con un Pil più alto? Oppure un paese che abbia un’alta competitività industriale? A mio avviso, un paese migliore è banalmente un paese in cui si vive meglio, ovvero in cui si è più felici. Perché in fondo è questo l’obiettivo principale che ogni società persegue: la ricerca della felicità. E la qualità dell’ambiente in cui si vive fa sicuramente parte del percorso.

Eppure non mi sembra che l’Italia si muova in questa direzione. E non è una questione di destra, di sinistra o di sobrietà. Si tratta di cultura: la salvaguardia del nostro straordinario patrimonio ambientale è soprattutto un atteggiamento culturale che dobbiamo assumere e di cui invece continuiamo a infischiarci. Salvo poi indignarci di fronte alle tragedie che puntualmente scaturiscono dalla terra ferita, in seguito alle scelte sbagliate in materia di ecologia e di sviluppo, di sfruttamento del suolo e di speculazione edilizia.


Secondo il Wwf "il cambiamento climatico che influisce sull’intensificarsi dei fenomeni critici è provocato per il 95% dalle attività umane”. Quindi se le notizie di alluvioni, frane, slavine e smottamenti sono sempre più frequenti, la colpa è nostra. Ogni giorno, in Italia, il cemento fagocita qualcosa come 75 ettari di terreno agricolo. Queste sono le cifre (al ribasso) denunciate dal report di FAI e WWF ITALIA: Terra rubata. Settantacinque ettari al giorno significa che ogni anno in Italia scompare una superficie pari a quella di settemila Piazze San Pietro. Ogni giorno, da 60 anni a questa parte, spuntano 207 edifici abusivi: il 17% del totale delle nuove costruzioni. E sono oltre 4,5 milioni gli ecomostri che sono stati costruiti nel nostro paese nella sua storia repubblicana. Tanto poi c’è il condono. Ecco il raffronto visivo tra il suolo urbanizzato degli anni '50 e quello odierno.

Consumo di suolo in alcune regioni italiane byoblu byoblu.com



Certo, la religione dello sviluppo porta a questo. E noi, in questi anni, ci siamo indiscutibilmente "sviluppati". Ma se invece di ragionare secondo l’ottica dello sviluppo provassimo a ragionare secondo l’ottica del progresso, il discorso cambierebbe? Il progresso, infatti, non è soltanto quello economico e industriale, ma è anche quello culturale, sociale e ambientale. È un concetto molto più vicino a quello della ricerca, infinita ma progressiva, della felicità. Siamo davvero più felici ammassati in quartieri claustrofobici dove spesso anche la luce del sole non si azzarda ad entrare, in città sempre più estese dove la natura è una cartolina racchiusa in piccoli e sporchi francobolli che chiamiamo parchi? La cementificazione senza ritegno non soltanto rende le nostre vite meno sicure, calpestando le più elementari leggi della natura ed aumentando il rischio di dissesto idrogeologico, ma ci condanna anche ad una spesa folle senza alcun vantaggio di ritorno. Continuiamo a dissanguare le nostre casse in una serie infinita di ristrutturazioni, ma non investiamo mai nella prevenzione, attività molto più conveniente.



Area cementificata entro il 2020 Italia cementificazione urbanizzazione Claudio Messora Byoblu Byoblu.com



Secondo uno studio del 2010 del Ministero dell’Ambiente (e non degli ecologisti estremisti o no-global), "il fabbisogno necessario per la realizzazione degli interventi per la sistemazione complessiva delle situazioni di dissesto su tutto il territorio nazionale è stimato in circa 40 miliardi di euro”. Cifra ragguardevole, è vero, e in tempi come questi si potrebbe dire che ci sono ben altre priorità. Ma lo stesso studio, poco più avanti, precisa che la spesa dello Stato “per le attività di emergenza” si aggira “mediamente tra 2 e 3,5 miliardi di euro all'anno. La spesa per la prevenzione, invece, è stata in media di 250 milioni l'anno. Per ogni milione speso per prevenire, ne abbiamo spesi 10 per riparare i danni della mancata prevenzione”. Questo modello, dunque, basato sul miope intervento a posteriori, ci costa infinitamente di più di quanto non ci costerebbe intervenire con anticipo. E soprattutto, non risolve il problema.



Sconcertanti, infine, sono anche i dati che emergono spulciando nel bilancio del 2011 della Protezione Civile. Su 1.897.972.867 di euro (quasi 2 miliardi!), l’81% è stato destinato a interventi di ricostruzione, riparazione e organizzazione di Grandi Eventi, e meno del 13% per la prevenzione e la previsione delle emergenze.

E questa, dunque, l’Italia che vogliamo, la stessa che dipingeva Rino Gaetano oltre trent’anni fa? Ed è questa, per riallacciarsi al nostro discorso iniziale, l’Italia che intendiamo consegnare ai nostri figli?

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