Come pensa di spiegare, lo Stato, ai ragazzi di un liceo di Messina, che occorre rispettare le regole? La loro preside è stata condannata perché usava un bidello come autista e cavalier servente per la spesa al supermercato. Eppure la dirigente è ancora lì, al suo posto. E han dovuto andarsene gli insegnanti che avevano testimoniato contro di lei.
Quella di Anna Maria Gammeri è una piccola storia esemplare. Che dimostra come, oltre ai contratti di lavoro di cui si discute in questi giorni, sia urgente mettere mano anche ad alcune storture inaccettabili nel mondo della giustizia (quasi sette anni per una sentenza di primo grado!) e della scuola. A partire dalle scelte del ministero della Pubblica istruzione: com’è possibile che, lanciando un messaggio omertoso agli studenti di quella scuola, di tutta Messina e dell’Italia intera, non si sia costituito parte civile nel processo contro quella sua dirigente che usava un bidello come lacchè?
Ma partiamo dall’inizio. Siamo nel 2005 e i magistrati ricevono un esposto. È anonimo, ma così ricco di dettagli, date, circostanze, che decidono di non buttarlo nel cestino ma di controllare se c’è qualcosa di vero. La Guardia di Finanza, come spiegherà la sentenza, si apposta e nel giro di qualche giorno accerta che è proprio così: la preside Anna Maria Gammeri utilizza un collaboratore scolastico, Nicola Gennaro, come fosse un servitore personale messo dallo Stato a sua completa disposizione. Per cominciare, si fa venire a prendere a casa la mattina e riaccompagnare al pomeriggio come si trattasse di uno chauffeur.
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