Anna Lombroso per il Simplicissimus
In un pudico clima di clandestinità operosa il Parlamento ha reso legge dello Stato il principio del pareggio strutturale, che entrerà in vigore il prossimo gennaio a condizione che almeno 12 paesi lo abbiano ratificato: al momento il prestigioso parterre ne conta 9, Cipro, Danimarca, Grecia, Irlanda, Lituania, Lettonia, Portogallo, Romania e Slovenia, non ci sono ancora né Francia, né Germania. Segno evidente che stati più oculati guardano con sospetto a un provvedimento che limita ineluttabilemente almeno per i prossimi 20 anni, la sovranità dei singoli paesi che lo accettano, in materia di politica economica e sociale. Il nucleo del provvedimento consiste nell’ “l’impegno delle parti contraenti ad applicare e ad introdurre, entro un anno dall’entrata in vigore del trattato, con norme costituzionali o di rango equivalente, la ‘regola aurea’ per cui il bilancio dello Stato deve essere in pareggio o in attivo”. “E qualora il rapporto debito pubblico/Pil superi la misura del 60% – e noi che abbiamo entusiasticamente aderito siamo al 120% – le parti contraenti si impegnano a ridurlo mediamente di 1/20 all’anno per la parte eccedente tale misura”.
L’eutanasia della sovranità era stata anticipata dalla recente l’introduzione del pareggio di bilancio nella Carta, intoccabile per i matrimoni tra persone dello stesso sesso, ma che doveva essere attrezzata ad integrare diligentemente un meccanismo che rappresenta per il nostro paese la definitiva cancellazione di ogni ipotesi di egemonia pubblica nello sviluppo e che soprattutto obbliga al rientro del 50% dell’ammontare complessivo del debito pubblico che eccede il 60% del PIL. Dal 2013, oltre alle normali manovre di riduzione del Deficit di bilancio, al finanziamento dell’ESM e di probabili altre scialuppe di salvataggio di altri paesi della zona Euro, dovremo aggiungere la somma impressionante di ulteriori 50 Miliardi all’anno da aggiungere al nostro debito, oggi pari ad oltre 1.900 miliardi Euro e raggiungerà entro fine 2012/inizio 2013, i 2.000 miliardi di Euro. Insomma ci siamo comminati una pena di 20 anni, abbiamo sottoscritto senza ben saperlo una tremenda e inesorabile ipoteca che condizionerà il nostro presente e il nostro futuro. E che annienta con il riuolo dello Stato, con qualsiasi ipotesi di partecipazione democratica ai processi decisionali, anche le “possibilità” della politica: quale che sia l’indistinguibile maggioranza parlamentare uscita dalle alle prossime elezioni, a meno che abiuri il patto e l’euro, non avrà facoltà di intervenire sulle decisioni economiche del paese e di promuovere politiche sociali congrue con i principi costituzionali.
Ho scritto “senza saperlo bene” e non solo perché le Jene avranno il loro bel da fare per estorcere qualche informazione elementare sul fiscal compact da quelli che l’hanno approvato, colti sul monta rozzo davanti a Montecitorio. Ma soprattutto perché su tutta questa operazione che pure avrebbe – a dire del governo dei suoi suggeritori e dei suoi fan suggestionati – l’effetto redentivo di salvarci, vige invece un verecondo riserbo.
Non so voi, ma io trovo così l’ennesima conferma che il giornalismo italiano di questi anni è uno dei principali responsabili del disarmo morale e sociale del paese. Se l’oligarchia partitica ha annichilito e umiliato la società civile, vedendo nei suoi rappresentanti i potenziali rivali del suo prestigio, i giornalisti hanno annientato l’opinione pubblica, sostituendosi ad essa, manipolando il pensiero comune fino a convincersi che l’opinione non la fanno, addirittura “sono” loro. Dell’Italia conoscono solo la parte più corrotta, le alleanze più opache, gli intrecci e gli intrighi più turpi, le pulsioni più proterve e vanitose, quelle che fanno cassa e che permettono di nascondere dietro allo scandalo sopportabile e ostensibile, l’ingranaggio perverso, il gioco d’azzardo rapace, la corsa ineluttabile verso la rovina. Trasmettono quello che gli si permette di far sapere, pagando la desiderata ammissione alle stanze segrete, agli arcana imperii, con la somministrazione oculata di informazioni nella convinzione che la verità, in fondo, può sempre essere posposta. Ai più benevoli possono apparire come altoparlanti cauti di sismologhi che temono di far sapere che quelle piccole scosse ancora impercettibili, minacciano un rovinoso terremoto. Ma la realtà è che salvo qualche caso, informano per sentito dire, accomodati nel protetto ventre della balena, muniti di ogni confort, compresi gli strumenti informatici, che li rendono onniscienti e onnipotenti, con la dismissione dell’esperienza diretta, dell’esercizio della critica e del pensiero indipendente.
E perché dovrebbero muovere obiezioni a un sistema che per ora li ha benignamente risparmiati, che grazie alla loro accondiscendenza li garantisce e tutela, che in fondo rappresenta il migliore dei mondi possibili o almeno quello che per ora non ha alternative? In questo panorama i più oltraggiosi sono quelli che si prestano con la loro liturgia censoria o pedagogica a beneficio morale un popolo bambino, che è meglio lasciare nell’ignoranza premiandone gli istinti più regressivi e impaurendolo perché sia maneggiabile: le dieci domande a intermittenza, le intercettazioni a intermittenza, la critica a intermittenza, il conflitto d’interesse a intermittenza, imprenditori ambiziosi ad intermittenza, perché nei governi ad personam, nella democrazia ad personam, nella giustizia ad personam, pare ci sia sempre qualcuno più “persona” di altri. Quelli che con l’elargizione generosa di retroscena e la somministrazione cauta di pasticche informative, sorretti da menti severe e sorrisi corrosivi, aiutano a rinviare indefinitamente il cambiamento risolutivo, dando l’illusorietà di una partecipazione ai momentaneamente esclusi, offrendo la consolante rappresentazione ideale di un rapporto equilibrato e probo tra mercato e azione di governo, tra politica e imprenditoria.
Una volta chi confessava di non leggere i giornali si sentiva apostrofare: ma in che mondo vivi?
Oggi è sempre più palese che il mondo che descrivono i giornali non è quello in cui viviamo noi.
Nessun commento:
Posta un commento