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venerdì 21 settembre 2012

Caso Fiat: una classe dirigente smaschera i suoi inganni

Questo è un sabato speciale, posso stappare finalmente la bottiglia di minerale gran riserva, emungimento del luglio 2012 con retrogusto di vaniglia, nocciola, cioccolato e pure parmigiana di melanzana. Si mi prendo gioco dei sommelier, capitombolo sopra le parole come un poeta ermetico. Ma è la prima volta da trent’anni e passa che sento dire una cosa sensata, una cosa di sinistra. A dirla naturalmente non è qualcuno che si definisce o si narra di sinistra, ma straordinariamente uno storico amministratore delegato della Fiat. Si, proprio Cesare Romiti, che interviene nella polemica Marchionne – Della Valle, con qualche parola di verità:   ”Quando un’azienda automobilistica interrompe la progettazione vuol dire che è destinata a morire. Uno dei principali colpevoli è il sindacato assente che, tranne la Fiom, non hanno fatto nulla per contrastare le scelte del management”.

Assaporate, chiudete gli occhi: dopo decenni di pensiero unico e di frasi fatte si riconosce che la dialettica sul lavoro è un importante motore di crescita e che la resa troppo facile non è solo un tradimento nei confronti dei lavoratori, ma dell’azienda stessa che sarà indotta a investire e progettare di meno. E’ la storia della Fiat, ma anche quella della politica industriale in Italia durante gli ultimi 25 anni, condita di assurdità come la scomparsa della classe operaia e di liquidità baumaniane. Adesso dopo che Marchionne si è degnato di rivelare che il piano  ”Fabbrica Italia” era un bluff -come chiunque avrebbe capito dalla mancanza di qualsiasi azione concreta e anche dagli impegni finanziari oltre oceano – aggiungendo che è anche inutile sviluppare nuovi modelli, si aprono gli occhi o si fa finta di svegliarsi.

Ma credere all’uomo col maglioncino è stata solo una commedia della classe dirigente italiana, politici compresi. Una sporchissima commedia: da quando Marchionne ha promesso di raddoppiare la produzione di auto in Italia   1) è stato chiuso lo stabilimento di Termini Imerese; 2) ha chiuso e poi riaperto lo stabilimento di Pomigliano riassumendo soltanto metà degli addetti; 3) ha chiuso la Irisbus di Avellino che produceva autobus; 4) si è ridotta la produzione a Cassino di decine di migliaia di unità; 5) le linee di produzione di Mirafiori sono state portate da 7 a 2; 6) sono stati messi in cassa integrazione persino  i 5000 addetti del Lingotto che si occupano di ricerca, sviluppo e amministrazione.  Quest’anno la Fiat produrrà non più di 400.000 auto mentre nel 1990  ne aveva prodotte 2.000.000. Per assoluto paradosso tutte queste chiusure sono state ottenute facilmente sventolando un piano di sviluppo.



Ecco il risultato del continuo calarsi di braghe del sindacato, del progressivo incantamento liberista dei partiti della sinistra e del berlusconismo che è stato garanzia di queste cecità “moderne” e insieme dell’immobilismo clientelare. Assistere a questo spettacolo è stato penoso. Assistere al dispiegamento della malafede o dell’idiozia che ancora circola ormai è fonte di collera. Pensare che quel bel tomo di Ichino a gennaio scriveva sul Corriere una sua lettera capolavoro: «Si dice, ancora: “La Fiat non ha chiarito il suo piano industriale”. Sarà; ma qui c’è un investimento colossale che sta dando lavoro per almeno quattro anni a migliaia di persone; e lavoro di alta produttività e qualità, relativamente ben retribuito. Chiediamo pure chiarimenti ulteriori sul futuro, ma qui c’è già qualcosa di chiarissimo per il presente, che stiamo disprezzando senza neppure degnarlo di uno sguardo».

Caro Bersani, Ichino lo vogliamo candidare perché è un idiota allo stato puro o perché fa il gioco di Marchionne? Almeno toglici questo dubbio amletico. Va bene pure nel caso si trattasse di entrambe le cose: in questi casi il ma anche veltroniano non ci sta male. Però diccelo.
Alla fine la commedia che sembrava dovesse finire con una bella sfoltita di diritti e tutto come prima, si sta trasformando nel dramma più evidente della deindustrializzazione del Paese. E scatta l’allarme, con della Valle che suona la carica:  “Continua questo ridicolo e purtroppo tragico teatrino degli annunci ad effetto da parte della Fiat, del suo inadeguato amministratore delegato e in subordine del presidente. Assistiamo infatti da alcuni anni a frequentissime conferenze stampa nelle quali, da parte di questi Signori, viene detto tutto e poi il contrario di tutto, purché sia garantito l’effetto mediatico che sembra essere la cosa più importante da ottenere, al di là della qualità e della coerenza delle cose che si dicono”. Già ma non ve eravate accorti prima? Persino il sottoscritto che non ha velleità imprenditoriali lo diceva due anni fa (qui) e (qui) come tanti del resto: la Fiat se ne stava andando e i piani di rilancio erano balle. Solo il “carino” Montezemolo era a sconoscenza, ma si sa che l’uomo vale qualcosa solo quando usa l’Oreal.
Per fortuna che un vecchio squalo come Romiti lo ha messo in chiaro. Essere ragionevoli è una cosa, a calare braghe invece può succedere di tutto e di solito una cosa ben avvertibile. Certo è desolante sentire da un tycoon cose che avremmo voluto sentire da altri: ma quelli ormai sono tonnetti che la storia sta già mettendo in scatola. simplicissimus

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