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domenica 30 settembre 2012

Giù le mani dal Grande Sud, è Cosa Nostra


Licia Satirico per il Simplicissimus
Le elezioni per il rinnovo dell’Assemblea regionale siciliana sono ai nastri di partenza, con ben 1600 candidati per 90 seggi da 13.000 euro al mese: sedie opulente in una regione talmente pignorata da non essere in grado di pagare lo stipendio ai suoi dipendenti. Dando una scorsa ai nomi dei papabili, viene subito in mente un appunto di Sciascia di tanti anni fa: «bellissime rose in casa del questore di C., mandate dall’avvocato F. alla signora. Parliamo dell’avvocato F., al questore noto come coltivatore di rose ma in tutta la provincia noto come mafioso. Di questa seconda notorietà il questore nulla sapeva. È un onest’uomo, ne è davvero spiacevolmente sorpreso».

La sindrome del coltivatore di rose ha colpito anche Gianfranco Miccichè, che ha candidato nella sua lista Grande Sud il deputato uscente Francesco Mineo. L’uscente, in effetti, è entrante in un mare di guai, essendo sotto processo per usura, abuso d’ufficio e intestazione fittizia di beni aggravata dall’aver favorito Cosa Nostra.

Mineo, fedelissimo di Miccichè, sarebbe il prestanome di Angelo Galatolo, esponente dell’omonima famiglia mafiosa dell’Acquasanta. Il senatore di Fli Fabio Granata, furente, accusa l’aspirante governatore di aver disatteso il codice antimafia insieme a molti altri schieramenti. Ma il leader di Grande Sud ribatte che la sua lista è «la più pulita di tutte», dato che nel Pdl – sempre un passo avanti – ci sarebbero candidati già condannati e nel Pd altri eleggibili che non profumano di rose, rinviati a giudizio per delitti contro la pubblica amministrazione.



In fondo, Mineo sarebbe l’unica eccezione in una lista di cittadini al di sopra di ogni sospetto. Miccichè si difende così: «ho parlato a lungo coi suoi avvocati e mi hanno spiegato che a novembre, durante la prima udienza in programma, cadrà l’aggravante mafiosa, perché la persona che faceva scattare questo reato è appena stata dichiarata non mafiosa. In ogni caso, sono convinto dell’innocenza di Mineo, che ha già firmato una lettera nella quale annuncia le sue dimissioni irrevocabili se a novembre non sarà eliminata l’aggravante mafiosa». Dopo le dimissioni ritardanti di Renata Polverini, nascono le dimissioni preventive con effetto stimolante: il candidato può essere votato senza scrupoli di coscienza, perché se dovesse scoprirsi che è mafioso si dimetterà senza esitazioni. Non sappiamo cosa accadrà se si dovesse appurare che Mineo è soltanto un usuraio, o che ha aiutato un non mafioso a dissimulare il proprio patrimonio per frodare il fisco: siamo costretti a dedurre che si tratta di condizioni ritenute dal leader di Grande Sud del tutto compatibili con una carica istituzionale.

La candidatura di Mineo è coerente con le ragioni di marketing che spingono Miccichè a ritenere sbagliata l’intitolazione dell’aeroporto di Palermo a Falcone e Borsellino. I delitti di mafia non possono contaminare l’atmosfera turistica della regione. Molto meglio collocare gli imputati per mafia nelle opportune sedi istituzionali: proprio quelle che l’ex luogotenente siculo di Berlusconi vorrebbe intitolare alle vittime innocenti della criminalità organizzata.

La candidatura di Mineo e delle persone in analoghe condizioni giudiziarie ci avrebbe turbato in ogni caso, specie con l’eco transregionale di sprechi, scandali, mitili, maiali, porcelli ed emolumenti emollienti in tempi di spending review. Adesso fa ancora più impressione per un altro motivo: pochi giorni fa Claudio Fava è stato costretto a ritirare la sua candidatura alla presidenza della Regione per un cavillo burocratico legato ai tempi di fissazione della residenza in Sicilia.

Le ragioni di questo incidente clamoroso non sono chiare ma bruciano, e oggi bruciano in modo insopportabile: nella terra di Sciascia non puoi candidarti se non hai spostato per tempo la tua residenza, ma puoi ancora farlo se sei indagato per mafia. Se poi sei un non mafioso, rinviato a giudizio per motivi più banali, puoi pure essere eletto senza timore di decadenza, perché la non mafiosità rende indulgenti verso usure e abusi non organizzati.
Napolitano ripete accorato che nelle regioni non c’è solo malcostume. Molti siciliani, perplessi da alleanze improbabili e candidature olezzanti, si accontenterebbero di sapere che tra gli scranni dell’Ars non ci saranno coltivatori di rose.

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