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mercoledì 28 novembre 2012

Di “brave persone” si muore


Anna Lombroso per il Simplicissimus
E dire che se c’è qualcuno legittimato a dire “lasciateci lavorare” dovrebbero essere proprio i lavoratori o quelli che aspirano a diventarlo. Invece c’è un’ampia platea che applaude i cialtroni, i distratti, gli indifferenti, quelli occupati negli affari loro, gli infami, quelli che ci hanno già rovinato e vogliono fare anche peggio, raccomandandoci di non disturbarli mentre bisticciano nei cantieri delle loro miserie, in nome di un loro progetto di salute pubblica, che si sa che è privata anche la via sanitaria per il paese. Vecchi e nuovi sfrontati invitano alla pazienza, che non è certo una virtù e infatti a loro piacciono i vizi, a non parlare ai manovratori intenti ai loro ballottaggi, ai loro porcelli, a distribuire favori a famigli e affini e alla tutela dei loro interessi, i loro privilegi, ad alimentare quelle disuguaglianze che servono loro per essere differenti da noi, cioè superiori, remoti, salvi. Ma soprattutto dediti all’ubbidienza a certi comandi ormai palesi e intelligibili anche per noi che li riceviamo da distanze siderali, se non fosse per ripetitori spaventati e sottomessa che ci somministrano le notizie con cauta parsimonia.

Ormai sciaguratamente esplicito Monti ha detto – ma lo abbiamo saputo con un certo ritardo per via di quel delicato pudore dei media – che dovremo ricorrere a mezzi aggiuntivi, supplementari, integrativi e talmente addizionali da diventare unici, necessari e insostituibili per le cure, l’assistenza medica, i vaccini, le pillole, le analisi, insomma per comprarci a caro prezzo il diritto alla salute. Insomma ha voluto dirci che sono affari nostri di italiani intemperanti e spendaccioni, che è affar suo dare una mano a rapaci compagnie assicurative e che è affare comune continuare a ramazzare risorse per riempire una voragine incolmabile e per rispettare patti che lui personalmente ha stretto coi suoi augusti padroni, in modo che diventino irreparabilmente anche i nostri.



Come succede a individui poco creativi, poco volonterosi ma molto ambiziosi, l’uomo deve aver preso per buona quell’affermazione di Keynes: le idee degli economisti, quelle giuste come quelle sbagliate sono più potenti di quanto comunemente si ritenga. Così gli è piaciuto contribuire a coltivare, e camparci sopra con dovizia, la rovinosa cultura del credito/debito, dell’autoregolazione del mercato e della superfluità dello stato, della ineluttabilità del rischio, purché sia rischioso solo per chi nella lotteria della vita è destinato a rimetterci, e dell’improrogabilità del sacrificio sempre per gli stessi, grazie all’applicazione di modelli economici che mutuando leggi matematiche e fisiche, hanno legittimato come fisiologici, naturali e inevitabili la crisi, i suoi effetti e le cure adottate dagli untori.

Invece avrebbe bisogno di un Bignami sul come e il perché siamo a questo punto. Che ricordasse prima di tutto che se è vero che la crescita aveva prodotto benefici, dando apparentemente ragione a chi credeva a una manina provvidenziale e benefica che distribuiva qualche briciola delle ricchezze accumulate da pochi anche sul desco dei molti, la sua illimitatezza dissennata, la sua incontrollata avidità, la sua sregolatezza rapace ha ridotto quelle briciole creando sempre più implacabili disuguaglianze. E che smentisca il mantra sulle responsabilità e colpe dei cittadini, salvo quella di subire l’oltraggio delle sue politiche. La Grande Tenebra che stiamo attraversando dal 2007 è stata provocata non dalle nostre cattive abitudine, dalla nostra inclinazione a consumi dissipati, dall’ebbro godimento di diritti che hanno ostacolato il libero dipanarsi dell’attività di impresa e della concorrenza, ma da una serie di fattori complessi che sono però facilmente riconducibili allo sviluppo patologico della finanza mondiale, quindi a un processo aberrante che ha investito il mercato, e che, oltre a raggiungere dimensioni sproporzionate a paragone dell’economia reale, ha generato un sistema opaco e affetto da gigantismo, sottratto a tracciabilità, sorveglianza e controllo legale. Un mercato privo di regolazione, grazie anche ai padroni per niente reconditi dei governanti tecnici messi a fare da kapò a stati riottosi, ha usato tecnologie e innovazione per accentuare l’immaterialità senza controllo delle transazioni e della turbo-economia, così funzionale all’ideologia neo liberale, da annichilire, nell’inevitabilità dello stato di necessità delle politiche di rigore, anche quelle socialdemocrazie che pensavano di saper temperare il capitalismo, ammansire il profitto e addomesticare l’avidità. Dimenticando che l’avidità è una sete insaziabile che si nutre della facoltà di creare denaro dal nulla, derivati, fondi, cartolarizzazioni, che suscitando speranza hanno condotto milioni di poveri, ingannati, alla disperazione.

Oggi qualcuno a proposito di uno zelante giovanotto arrivato alla politica da ambienti confessionali, che raccomandava di non disturbare i tranvieri di regime, lo ha definito, malgrado tutto, una “brava persona”. Non vorrei che quelle dottrine economiche care all’attuale governo e ai partiti che lo sostengono, avessero creato un tale stravolgimento da farci credere che sia una brava persona chi non ci ficca una misericordia reale tra le scapole, chi non ci sfila il magro portafogli di tasca, chi non ci spara sulle gambe se non paghiamo il pizzo al fisco o il canone TV. Non è una brava persona chi sostiene la rapina dello stato sociale, chi vota per la cancellazione dell’articolo 18, chi espropria di sovranità lo Stato scendendo a compromessi con la democrazia per imporre il pareggio di bilancio in Costituzione, chi pensa che i diritti come i beni comuni siano alienabili, negoziabili, vulnerabili dal ricatto tra lavoro e salute, tra occupazione e garanzie, tra libertà e sopravvivenza. Oggi a Taranto perfino il fulmine è stato iniquo, si è abbattuto sull’Ilva e se, come sembra, ci sono vittime, non si conteranno certamente tra le “brave persone”, ma tra uomini nudi, esposti, disperati, condannati ancora una volta a essere vittime. Stiamo dalla loro parte, per non essere condannati anche noi.

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