Anna Lombroso per il Simplicissimus
In questi giorni una notizia che in altri tempi avrebbe avuto un certo risalto, è invece passata sotto silenzio. Forse perché si trattava di una di quelle che dispiacciono alla folta categoria dei “fieri ciula” secondo la fulminante definizione di Fruttero e Lucentini, quelli che per entusiasmo credulone, per fosforescente dabbenaggine o, meglio, per accreditare un ex nemico che tradisce il nemico vigente, hanno affrancato bastardi, esaltato imbecilli, legittimato cialtroni, avallato puttanelle o ruffiani.
La notizia è questa: Aldo Busi, noto per un intemperante ricorso alla provocazione e per un altrettanto spericolato amore per le scomode verità – inclinazioni, di questi tempi, quanto mai inusuali e benedette – è stato assolto dall’accusa di diffamazione presentata dalla Signora Veronica Lario, ex Berlusconi, per aver risposto con un certo invidiabile candore alle domande meno innocenti di Lilli Gruber durante l’Otto e mezzo del primo ottobre 2010, sul leggendario divorzio di Stato: “ mi sembra molto strano che una signora che ha recitato, che è stata nei teatri, che, insomma, non dico colta, ma comunque con un’istruzione piuttosto vasta, mandi una lettera per una storia di possibili corna o tradimenti o minorenni ecc… E non abbia mai detto nulla sul fatto che a casa Berlusconi c’era un tale Mangano, lo stalliere pluriomicida e mafioso di vaglia che stava lì e che probabilmente ha preso in braccio i suoi bambini … Allora io mi sarei svegliata, magari venti anni prima”.
A differenza di molti fieri ciula dunque, che avevano creduto più a una folgorazione sulla via di Arcore che a un tardivo e non del tutto limpido ravvedimento, il Tribunale di Monza non ha assolto la Signora Lario per la ripetuta cattiva frequentazione anche biblica, bensì Busi, perché il fatto non costituisce reato.
Si in molti si saranno dispiaciuti, di quelli che erano stati deliziati dalla famosa lettera aperta al giornale più esplicitamente ostile al marito, di quelli che erano stati incantati dalle letture e dalle frequentazioni ardite di Miriam Bartolini, che aveva fatto dimenticare i film scollacciati di Veronica Lario, interpretando la parte, ritrosa fino alla misantropia, della pallida e remota castellana, uscita dal suo proverbiale riserbo solo per amore di una nazione umiliata dai capricci sgangherati di un uomo malato. Allora fece capire di essersi risolta alla pubblica denuncia e all’abiura mediatica, per via del bene comune, che altrimenti sarebbe rimasta nel chiuso delle quattro mura del maniero, compresa dell’obbligo di fedeltà al ruolo coniugale e materno fino all’abnegazione e al sacrificio, confortato di tanto in tanto dai lumi di ispidi filosofi e dedicata interamente alla cura dei “beni” familiari.
Quanto piacque, allora, la Veronica, quanta indulgente comprensione solidale suscitò il pensiero di anni trascorsi a subire i lazzi, le chitarrate di Apicella, le barzellette sconce, tutto quel fondo tinta, e le cantate della Vie en rose, in cambio di una vita più rosea di quella musicale, opulenta, sibaritica, nei lussi e nei privilegi, è vero, ma condannata allo sgarbo di corna esibite e di una turpe volgarità. Si la Lario incontrò i favori delle fan di genere, inclini allo sdoganamento di sciacquette, olgettine, nipotine, consigliere, ministre ogni qualvolta un battito delle lunghe ciglia lasciava intravvedere un femminilmente sensibile ripensamento critico, ma soprattutto ebbe il gradimento degli apostoli dell’entusiastico “a nemico che fugge ponti d’oro”, chiunque esso sia, improvvisamente e provvidenzialmente cinto dal serto dell’innocenza ritrovata, sorprendentemente credibile e autorevole per via della gabbana, come dalla mutandina, rivoltate nel verso giusto, si tratti di memorialiste del culo flaccido o presidenti della Camera o inossidabili leghisti, usciti indenni da formidabili complicità.
Favore particolare è stato riservato alle “denunce” e ai risvegli sia pure procrastinati, relativi alle abitudini discutibili, insomma alle perversioni private dell’uomo piuttosto che ai troppo tollerato vizi pubblici del politico. E che altro aspettarsi da chi ancora oggi pensa che la nostra credibilità internazionale non sia stata minata da imprenditori e manager incapaci, politici corrotti e inetti, oltre che da un popolo che li ha votati pervicacemente, ma dal bunga bunga, come non più tardi di ieri ancora abbaiava in tv l’onorevole Colaninno, esemplare testimonial di prestazioni non proprio sfolgoranti, di imprenditore come di parlamentare. Si meglio accanirsi sul “puttanopticon” dell’Olgettina, sulle cene eleganti, sui travestimenti, se ci si è macchiati di correità almeno quanto la Lario, sul conflitto di interesse, sulle leggi ad personam, sugli affronti alla Costituzione e alla democrazia, sull’inefficienza e incompetenza, su esponenti del governo improbabili, sulla corruzione come sistema di governo nazionale e locale, sull’acquiescenza all’Europa.
E vorrei bene vedere, salvo, e non sempre, costumi sessuali appena appena più morigerati, col tacito benestare dei fieri ciula, la via educativa al male intrapresa da Craxi e Berlusconi è segnata, trova solerti continuatori e sostenitori zelanti, determinati nella convinzione totalizzante dell’egemonia del privato, si tratti di beni una volta comuni, come dei vizi, cui Lario insegna, possono diventare pubblici solo se c’è convenienza.
Nessun commento:
Posta un commento