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martedì 8 novembre 2011

MESSINA, LA DEPOSIZIONE DEL PENTITO SANTO GULLO: Cinquemila euro a testa per ogni omicidio. «Ho partecipato a una ventina di uccisioni, ma non con Melo Bisognano. Io non ho mai sparato»

Gli investigatori lo definiscono l’ex sicario della mala di Falcone. Ma Santo Gullo, che ha scavalcato il muro, decidendo di passare dalla parte dello Stato, sostiene di non avere mai sparato.

Si è concluso con questa affermazione l’interrogatorio del collaboratore di giustizia, grazie alle cui rivelazioni le forze dell’ordine, recentemente, hanno decapitato le cosche dei Barcellonesi e dei Mazzarroti. Da quando ha deciso di vuotare il sacco, assieme al “mammasantissima” Carmelo Bisognano, sono emersi nuovi particolari su fatti di sangue, estorsioni e illeciti di vario genere compiuti lungo la dorsale tirrenica. Gullo è stato sentito ieri in videoconferenza davanti ai giudici della Corte d’assise del Tribunale di Messina, nell’ambito del processo “Vivaio”.



A muovere i fili dell’udienza il sostituto procuratore della Dda peloritana Giuseppe Verzera e il collega di Barcellona Francesco Massara. Nel corso del lungo botta e risposta, al quale ha partecipato anche il presidente della Corte d’assise Salvatore Mastroeni, all’interlocutore è stato chiesto di soffermarsi su alcuni passaggi già oggetto di una recente deposizione. Ripercorsi nei dettagli estorsioni, delitti (come quelli di Antonino Rottino e di Ignazio Artino) e rapporti all’interno dell’organizzazione criminale. A proposito delle uccisioni, Gullo ha ammesso di averne una ventina nel suo curriculum. «Di omicidi ne ho fatti ovunque, in tutte le zone: a Brolo, Falcone, Terme Vigliatore, S. Biagio. Insomma, dove capitava. Io, però, non ho mai sparato», ha detto. Incalzato dalle domande dei magistrati, Gullo ha poi illustrato il tariffario di Cosa nostra barcellonese: «Ci davano 5 mila euro a morto. Questa era la “taglia” per chi partecipava a un omicidio. Non c’era distinzione a seconda del ruolo ricoperto. In nessun fatto di sangue c’erano motivi personali. «Venivano ordinati dai Barcellonesi». Quanto alle altre sue fonti di sostentamento, ha raccontato che per i primi due omicidi, tra cui quello di Antonino Ballarino, non era “stipendiato”. Da quando ha avuto un ruolo attivo in tutti gli altri, percepiva «un milione al mese», che venivano dati prima da Nunziato Siracusa e poi da Aldo Nicola Munafò. E ancora: «Quando ero in carcere, fino a novembre 2010 prendevo uno stipendio. Me lo portavano Ignazio Artino e Salvatore Calcò Labruzzo. Mi faceva dei versamenti anche mia moglie». Gli altri guadagni venivano da furti e da estorsioni. «Quando, ad esempio, rubavamo una betoniera – ha aggiunto –, una parte veniva data ai Barcellonesi, un’altra ci restava. A volte si prendevano tutto». L’interrogatorio ha riguardato anche il suo “peso” nell’organizzazione. «Non ho mai avuto intenzione di andare avanti. Vivevo in un paese piccolo e isolato e stavo bene». Gullo ha poi dichiarato di conoscere Melo Bisognano fin dal 1998. «Ma non ho mai partecipato a un omicidio con lui», ha confessato. Al quesito sul perché abbia deciso di collaborare con la giustizia, ha replicato così: «Dopo che sono uscito di carcere avevo capito che la situazione era critica. I capi avevano detto a mio figlio di darsi da fare con qualche estorsione. Non mi davano più soldi per l’avvocato. Nell’ultimo periodo avevano messo pure un proiettile nella macchina di mio figlio. Ho capito le intenzioni dei “vecchi” e mi sono pentito, così si faceva un po’ di pulizia». La ricostruzione dei decenni di terrore lungo la fascia tirrenica riprenderà il 14 novembre. Le udienze successive sono state fissate i giorni 17 e 21 dello stesso mese. RICCARDO D’ANDREA - GDS

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