Anna Lombroso per il Simplicissimus
Il debito non è pubblico: è dello Stato. Ed è cresciuto enormemente per alimentare la corruzione e finanziare la criminalità organizzata, che si è aggiudicata il 90 per cento degli appalti di grandi opere pubbliche.
Il nuovo Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ci fa sapere che occorre ridurre il debito pubblico, cioè il debito che sarebbe stato contratto da tutti noi. È che si colloca la corruzione nella “retorica” della crisi morale, come se si trattasse di uno degli effetti dell’eclissi di un’etica pubblica. Mentre è sempre più evidente che è una delle ricadute più patologiche delle insufficienze della democrazie rappresentativa, delle storture di un sistema partitico che si nutre o è omertosamente complice dell’illecito che a sua volta lo ricatta.
A partire dall’Islanda e in Spagna e Portogallo, l’indignazione si indirizza verso una corruzione della classe politica, declinata sia come tangenti (e richiesta di allontanamento dei corrotti dalle istituzioni) vere e proprie, che come privilegi alle lobby e cointeressenze tra istituzioni pubbliche e potere economico (spesso anche finanziario). Il sistema rappresentativo ha consentito un ratto di democrazia, da parte della politica, dei condizionamenti dei poteri finanziari, delle organizzazioni internazionali, prima di tutto Fondo monetario internazionale e Unione europea. Patti per l’euro e patti di stabilità, imposti in cambio di prestiti, sono veri e propri ricatti anti-costituzionali, che derivano i cittadini della loro sovranità. E alimentano il circuito dei soprusi, delle “costrizioni” e delle disuguaglianze, inducendo illegalità come fosse una fisiologica “difesa”.
A questa corruzione, che è corruzione della democrazia, devono attribuirsi molte delle responsabilità della crisi economica e della incapacità di gestirla, perché è altrettanto vero che la corruzione è una tremenda e potente componente della disgregazione dello stato sociale e un elemento trascinante della “spesa” pubblica.
Per anni anche i partiti del centro sinistra hanno disinvoltamente e ipocritamente liquidato la questione come se si fosse in frutteria a discernere tra mele sane e mele marce, mentre è evidente da anni che si tratta di una rete “nazionale” di illecito, di un vero e proprio sistema di arricchimento alimentato e coperto anche da norme specifiche, come quella sulla Protezione Civile. E che il furto delle risorse pubbliche, in una fase di emergenza costituisce una slealtà, un crimine e una formidabile voce di spesa solo apparentemente occulta e esplicitamente tollerata da correi, da favoreggiatori o da aspiranti tali.
E infatti non a caso non esiste una letteratura contabile e statistica che confermi la relazione diretta tra regime democratico e sviluppo economico; quella stabilita dagli studiosi è solo una relazione indiretta. Ma ci sono invece dati certi sulla relazione, diretta, tra corruzione, crescita economica e benessere generale.
Se è provato che indirettamente la democrazia serve a mitigare gli effetti economici negativi della corruzione, è ancora più vero che la triangolazione di questi tre fattori – democrazia, sana politica, sviluppo economico – contesta la tesi che la corruzione rappresenti un incidente se non una aberrazione limitata e episodica a carico di singoli trasgressori. Invece l’impoverimento va insieme alla corruzione se essa è “l´abuso dei pubblici uffici o delle funzioni pubbliche per scopo di arricchimento” di privati o/e di gruppi.
Lo scambio di favori agevola privati che operano nell´impresa, in quella delle costruzioni o industriale, commerciale o dei servizi: come un baro, il corruttore trucca il gioco e si arricchisce con e a spese di tre cose, il denaro dei contribuenti, le leggi e le norme, i potenziali competitori. Prestando attenzione a questa terna (fatale in tutti casi di corruzione) si intuiscono gli effetti devastanti che la corruzione ha sull´economia di un paese. E siccome nel caso della corruzione il danno è sempre fatto a tutte e tre insieme le vittime (le finanze dello stato, le leggi, il mercato) risulta evidente che davvero la corruzione ha effetti devastanti sulla società democratica impoverendo l´intera società.
Impoverisce per l´ovvia ragione che si alimenta con i soldi che sono di tutti e che violando la trasparenza delle regole (per esempio quelle per l´attribuzione di appalti nelle Grandi opere o nei lavori pubblici ordinari) fa saltare il principio che presiede al contenimento dei costi: competenza su un piede di parità, costituendo un vero e proprio attentato monopolistico all´economica di mercato. E una delle conseguenze perverse di questa turbativa delle buone pratiche è che gli imprenditori, si attrezzano in anticipo, fidelizzandosi al sistema di illegalità come condizione necessaria e sufficiente al successo e favorevole al business nel settore pubblico.
Scrivevo ieri a proposito dei dati di Trasparency che bisogna stare in guardia da un uso strumentale dell’antipolitica, in nome dell’efficienza, della de regolazione e dell’onnipotenza del mercato, delle magnifiche ma illusorie promesse del neo liberismo, che hanno contribuito a recidere quei rapporti tra cultura e politica, fra politica e idee, e anche tra politica e etica.
Con la scusa di liberarci delle ideologie, abbiamo anche rinunciato ai pensieri, ai progetti, ai grandi disegni. E abbiamo ridotto così la funzione parlamentare e quella del governo a pura routine di potere, senza respiro, senza slancio morale, senza ricambio, senza elaborazione intellettuale.
Si c’è stata una forma di corruzione culturale, forse la più insidiosa, quella profetizzata dal grande inquisitore dei Fratelli Karamazov, quella che omologa le aspettative della società, non quella dell’uguaglianza materiale ma della ugualizzazione dei desideri, la configurazione più perversa di massificazione.
Questi ultimi anni prima dell’orribile seppur lento risveglio, ha annichilito pensiero, reazione, partecipazione costringendoli nell’angusta aspirazione a piccoli privilegi, all’accumulazione di beni effimeri, in un isolamento dalla partecipazione, perfino dalla rivendicazione, dalla rappresentanza e dalla democrazia.
La riforma elettorale, oltre a rispondere a un mandato esplicito dei cittadini, almeno di quelli che non si sono accontentati di risentiti mugugni, dovrebbe essere una priorità di un governo “politico” nella misura in cui rivendica di lavorare nell’interesse generale e nell’interesse di quella democrazia che impiega il meccanismo elettorale per permettere ai cittadini di mandare a casa i politici corrotti, secondo quel virtuoso effetto di deterrenza delle elezioni che fa della sconfitta la punizione più efficace. E avrebbe la potenza di una formidabile azione di risanamento, come dovrebbero poter fare le vere riforme. Cui questo governo preferisce le misure, possibilmente quelle che si prendono col metro dell’arbitrarietà e della conservazione. simplicissimus
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