Il sindaco di Taranto mangia una cozza a dimostrazione della loro bontà. Ma il mitile sarà davvero del luogo?
Massimo Pizzoglio per il SimplicissimusCerte immagini si ripetono nella mente di chi ha un minimo di memoria (cioè quasi nessuno), dando la sgradevole sensazione di un film già visto troppe volte.
Al Tg2 intervistano i coltivatori di cozze del Mar Piccolo di Taranto dopo l’ordinanza che vieta la vendita e ordina la distruzione dei mitili, vista la concentrazione astronomica di sostanze inquinanti nelle acque prospicenti l’Ilva.
E, come al solito, uno di questi, dopo aver biascicato qualcosa che doveva apparire spiritoso e spavaldo, apre un mollusco e se lo mangia: “alla faccia di chi ci vuol male”.
Allarga il campo, sorriso soddisfatto, stop! e via a un’altra notizia.
L’impatto sull’italiano standard è sempre lo stesso: “beh, se se le mangia lui, si possono mangiare. Ci raccontano sempre un sacco di balle!”. Che è assolutamente vero, ohimè, e infatti è appena avvenuto.
Ricordo ministri che mangiavano in diretta polli alla diossina, anzi, se ne abbuffavano con una scomposta maleducazione che, forse, serviva, come la frase incomprensibile dell’ostricaro, a sottolineare la soddisfazione del gesto.
Non seguiva il rutto liberatorio, ma altri ministri in altri contesti avevano già provveduto alla pubblica bisogna.
E ricordo altri ostricari che ripetevano il rito, con risucchio, della cozza in diretta in occasione del vibrione di Napoli, della salmonella in varie parti d’Italia, del colera, della mucillagine, dell’atrazina.
Contadini che tagliavano e mangiavano ortaggi vari contaminati da qualunque cosa, dalle radiazioni di Chernobyl ai pesticidi (che forse portano anche la Sla) ai liquami degli allevamenti intensivi.
Ed è sempre la scena conclusiva del servizio di qualsivoglia telegiornale.
Perchè l’educazione, e non solo alla compostezza a tavola, non deve passare da lì.
Il messaggio è che valgono uguale le parole del luminare della scienza (sempre un po’ impacciato e anche spocchiosetto, và) e quelle del pescatore fiero della propria ignoranza.
Che non è un obbligo di categoria, anzi, ma che è proprio quello che il redattore è andato a cercare. Il degrado culturale che passa attraverso il mezzo televisivo è spaventoso, devastante e a lento rilascio.
A fronte della famiglia Angela (ormai in estinzione) abbiamo la Parodi, con le sue spiegazioni clamorosamente sbagliate (“ma così capite meglio”), Cecchi Paone con le sue balle spaziali sulla falsità dell’effetto serra, la schiera dei revisionisti storici e dei medici a cachet (!) che ci narrano le meraviglie della chirurgia plastica, sottacendo le controindicazioni.
Ma è soprattutto la schiera degli “uomini della strada” che turba, perchè è quella che dovrebbe far sembrare più vera una realtà che è scientificamente non accertata o addirittura opposta, ma politicamente preferibile e televisivamente più vendibile.
E’ quella che poi fa passare in secondo piano la mancanza di controlli che ha causato il disastro, l’innalzamento a tavolino dei limiti di legge di tolleranza dei veleni, la totale inattività delle istituzioni di fronte all’emergenza.
Tanto, di quegli anonimi “esperti de noantri” non sapremo mai la fine, se il vibrione li ha consumati, se la diossina o il piombo ne hanno saturato il fegato, se la frana “che c’era già ai tempi di mio nonno e sarà ancora lì con i miei nipotini” li ha poi travolti.
Ogni tanto leggiamo che, nel crollo della palazzina romana costruita con materiali di pessima qualità, è morto anche il costruttore che l’aveva realizzata, che nel laboratorio andato a fuoco perchè gli impianti erano brutalmente fuori norma, sono morte anche la moglie e la figlia del titolare che avrebbe dovuto certificarli, che nella cisterna da lavare, sia morto anche il capo dell’impresa di pulizia, quello che si occupava della formazione dei dipendenti (che essendo stranieri e in nero non c’è nessuna necessità di perdere del tempo a formare).
Ma non li colleghiamo mai a quegli intervistati “sul campo”, non ci viene da dire “bravo, mangiatela ‘sta cozza, che fai la fine di tuo cugino, con l’epatite”.
C’è la commozione per quella bambina innocente bruciata, per quella famigliola spazzata via, per quei poveri ragazzini ripresi in ospedale con la flebo e la faccia febbricitante per l’epidemia di salmonella.
Non ci viene da pensare a quei controllori che non hanno controllato mai (o, più probabilmente, non hanno voluto vedere), allo stupore che contenuti tossici così alti nelle acque ci siano da anni e non da ieri, al fatto che le ciminiere che di giorno emettono un filino di vapore, di notte buttino fuori una coltre di caligine puzzolente e nessuno le vede?
E tanto, se anche lo pensiamo, ci lamentiamo al bar, non denunciamo, non ci immischiamo e, soprattutto, non ci ribelliamo.
E quando capita che lo facciamo, è quasi sempre per un tornaconto diverso dai nobili scopi.
E’ questo il mondo che questi anni di rozzi ignoranti al potere, televisivamente onnipresenti e onnimaleducanti, ci hanno lasciato, con la nostra supina accettazione.
Perchè gli italiani non hanno memoria, e men che meno memoria comune e reciproca, quella che ci farebbe diventare da moltitudine a popolo.
Quello “unido, jamas serà vencido” di cui si vaneggiava tanti anni fa., ma anche di questo non si ricorda più nessuno…
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