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sabato 14 gennaio 2012

Fantasie vitaminiche della depressione

L’uso di vitamina B come potenziamento farmacologico del trattamento della depressione resistente ha una qualche base scientifica? Negli Stati Uniti è una notizia, tanto da comparire sulle pagine del Wall Street Journal . Ma non sempre una notizia da pagine di giornale ha una base scientifica. Anzi, questa ha tutta l’aria di essere niente più che il punto di arrivo di una strategia di marketing ben studiata. Rappresenta quindi un interessante esempio paradigmatico.



Innanzitutto due parole sul potenziamento farmacologico del trattamento della depressione. Quando un antidepressivo non dà il risultato sperato, il medico può decidere di cambiare farmaco, oppure di aggiungerne un altro che dovrebbe potenziare l’effetto del primo. Ad esempio, può aggiungere un secondo antidepressivo, oppure altri farmaci per i quali ci sono alcune prove di efficacia, come il litio, l’ormone tiroideo o la lamotrigina. Ora l’articolo del Wall Street Journal suggerisce che la vitamina B, sotto forma di L-metilfolato (in vendita negli Stati Uniti come supplemento alimentare con il nome commerciale di Deplin) sia un farmaco capace di “dare una spinta” agli antidepressivi, aumentandone l’efficacia. Viene ricordato che negli ultimi tre anni oltre 30.000 medici hanno prescritto il Deplin come potenziamento farmacologico degli antidepressivi. Ma lo hanno prescritto sulla base di che?

Si potrebbe dire sulla base di un’ipotesi teorica. L’ipotesi che per qualche motivo i pazienti dovrebbero avere una forma di carenza di L-metilfolato, una sostanza che servirebbe per la produzione di serotonina e altri neurotrasmettitori, la cui mancanza sarebbe alla base della depressione. Una sequenza di verbi al condizionale. Una teoria tutta da dimostrare. E infatti non c’è nessuna prova provata che il Deplin sia in grado di potenziare l’efficacia degli antidepressivi. Come ricorda correttamente anche l’autrice dell’articolo sul Wall Street Journal, Melinda Beck, il Deplin è stato per ora sperimentato solo in due ricerche di piccole dimensioni, entrambe sponsorizzate dalla casa produtrice del farmaco. Una non è riuscita a dimostrare alcuna differenza di efficacia con il placebo, mentre l’altra avrebbe mostrato una qualche possibile efficacia. Naturalmente va ricordato che quando gli studi sono di piccole dimensioni (in questo caso si trattava di 75 pazienti divisi in due gruppi) la probabilità che l’effetto osservato sia frutto del caso è molto elevata.

Ma allora perché 30.000 medici americani hanno prescritto il farmaco? Perché se ne occupa il Wall Street Journal? Perché, come ricorda Melinda Beck, in recenti congressi di psichiatria si fa un gran parlare del Deplin? Si potrebbe dire intanto che una risposta sta nel fatto che il trattamento con Deplin costa quasi 100 dollari al mese e che negli Stati Uniti si fanno circa 20 milioni di prescrizioni di antidepressivi ogni anno. Un mercato potenziale ampio e tutto da sfruttare. Considerato anche che alla fin fine si tratta di una vitamina, che tanto male non può fare, anche se non ci sono prove che faccia bene.

Ora la casa produttrice del “farmaco” sembra che voglia iniziare il percorso per far approvare l’indicazione all’FDA americana, ma forse non ce ne sarà bisogno. La strategia di marketing probabilmente ha già ottenuto quello che voleva. Ossia lanciare un’ipotesi e mettere a disposizione un prodotto, fare un po’ di rumore sui giornali e nei congressi con un paio di trial clinici di scarsa qualità prodotti con poco impegno e a basso costo. Così intanto partono le vendite. Quasi certamente non si arriverà mai a portare a compimento gli studi clinici. Piuttosto bisognerà cominciare a pensare a nuove idee fantasiose e a nuovi “farmaci” destinati ad ampi mercati, magari in settori completamente diversi. Anche perché, come ricorda giustamente Ken Duckworth, direttore medico della National Alliance on Mental Illness, un gruppo di difesa di pazienti e cittadini, già ci sono prove che l’efficacia antidepressiva dei farmaci può essere aumentata semplicemente dedicandosi ad attività fisica di tipo aerobico o al limite rivolgendosi alla psicoterapia cognitivo-comportamentale. (Scire)

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