«Il vitto carcerario non ha consentito un’alimentazione adeguata del detenuto, risultando dal diario nutrizionale la presenza costante di alimenti potenzialmente scatenanti una crisi emolitica e assolutamente proibiti». In carcere, cioè, si mangia solo a base di fave e piselli e un detenuto affetto da favismo come Michele Aiello, l’ex re della Sanità siciliana, condannato a 15 anni e 6 mesi, non può rimanere in prigione, perchè esposto «a serio e concreto rischio di vita o a irreversibile peggioramento delle già scadute condizioni fisiche».
È con questa sorprendente motivazione, che il tribunale di sorveglianza dell’Aquila ha concesso, nei giorni scorsi, la detenzione domiciliare per un anno ad Aiello, ritenuto vicinissimo a Bernardo Provenzano e condannato nello stesso processo in cui è risultato colpevole anche l’ex presidente della Regione Sicilia, Totò Cuffaro. Che invece è in carcere, a Rebibbia, dove sta scontando sette anni.
I giudici, che si sono affidati a due periti, Brigida Galletti e Antonello Colangeli, partono dal presupposto, reale e concreto, che la malattia di cui soffre Aiello sia molto seria e grave. Quel che appare incredibile è che il motivo della scarcerazione risieda nel fatto che il menu «passato dal governo» in cella è più o meno fisso, tutto a base di legumi potenzialmente dannosi per il manager della sanità privata siciliana, costretto dunque a rinunciare al cibo e che in questo modo ha perso dieci chili. . – Ogni giorno, infatti, perlomeno nel carcere di Sulmona, in cui si trovava Aiello, si mangiano sempre le stesse cose: «Pasta e piselli – si legge nella motivazione del provvedimento – riso e piselli, seppie e piselli, minestrone e fave». E poichè il penitenziario sarebbe in grado di offrire solo questo, l’ingegnere rischia la vita. Titolare di tre avviatissime cliniche di Bagheria tutte confiscate, assieme a un patrimonio di circa 800 milioni, Aiello è tornato così nella sua città. Per adesso ha ottenuto il differimento della pena per un anno.
Evidentemente, nella valutazione del tribunale di sorveglianza dell’Aquila, presieduto da Laura Longo, nessun altro carcere del Paese offre menu alternativi e può provvedere alle sacrosante necessità alimentari del detenuto. Come si dice, «questo passa il Governo», anche se l’articolo 9 dell’ordinamento penitenziario prevede «un’alimentazione sana e sufficiente, adeguata all’età, al sesso, allo stato di salute, al lavoro, alla stagione, al clima».(agi - da Enricodigiacomo)
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