Ci vuole più trasparenza sui rapporti di sponsorizzazione tra l’industria farmaceutica e le associazioni di pazienti. E’ il messaggio proveniente da una ricerca realizzata da un gruppo dell’istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano e pubblicato sulla rivista open access PLoS One. Lo studio, condotto da Cinzia Colombo, Paola Mosconi, Walter Villani e Silvio Garattini, ha esaminato i siti web delle più importanti aziende farmaceutiche internazionali e italiane, rilevando quali fossero le associazioni di pazienti sponsorizzate; poi i ricercatori sono passati a confrontare quali di queste associazioni dichiaravano sui loro siti web la sponsorizzazione ricevuta. I dati emersi dall’incrocio, che ha coinvolto 17 aziende farmaceutiche e 157 associazioni di pazienti, non sono molto confortanti. I tre quarti delle aziende farmaceutiche esaminate dichiarano di sponsorizzare almeno un’associazione di pazienti, specificando in alcuni casi le attività sponsorizzate; solo il 15 per cento di quelle che lo dichiarano specificano anche l’ammontare delle sponsorizzazione. Sul versante delle associazioni, meno di un terzo dichiara di ricevere una sponsorizzazione da un’azienda farmaceutica, e di queste solo il sei per cento dichiara l’ammontare della sponsorizzazione ricevuta. Interessante notare anche che, dai dati di questa ricerca, le associazioni dichiarano le informazioni sulla sponsorizzazione ricevuta solo nell’undici per cento dei casi nell’home page del loro sito. Negli altri casi questa informazione deve essere cercata in specifiche sezioni dedicate o in pagine interne del sito.
“Anche se alcune associazioni italiane di pazienti hanno specifiche regole di condotta su questi argomenti, c’è bisogno di un miglioramento nel livello di trasparenza, divulgazione e abilità nel gestire le relazioni con gli sponsor” scrivono gli autori della ricerca nelle conclusioni del loro articolo. In effetti, fino a non molto tempo fa sembrava che la questione del potenziale conflitto di interesse derivante dal rapporto di sponsorizzazione gravasse solo sui clinici, che certamente erano stati il primo obiettivo da parte dell’industria farmaceutica. Ma negli ultimi anni è emerso sempre più chiaramente come anche le associazioni possano più o meno inconsapevolmente, giocare un ruolo molto significativo nell’orientare i consumatori verso l’utilizzo di farmaci e test diagnostici.
Come è noto la più importante arma da mettere in campo contro il rischio di essere manipolati dall’industria è la capacità critica di esaminare autonomamente le informazioni scientifiche provenienti dalla ricerca, un’abilità non sempre adeguatamente presente tra i clinici e che certamente lo è ancora meno, salvo rari casi isolati, tra gli appartenenti alle associazioni di pazienti. Comunque, anche ammesso che riescano a esaminare autonomamente le informazioni, o che scelgano di appoggiarsi a istituzioni che garantiscono l’autonomia delle valutazioni, come il Ceveas le associazioni dei pazienti devono poi essere in grado di prendere posizioni che potrebbero contrastare con gli interessi dell’industria. Un passaggio non facile se da quell’industria si riceve una sponsorizzazione. Sarebbe interessante capire anche se dai dati di questa ricerca è possibile cogliere una correlazione tra il tipo di patologia rappresentata da ogni singola associazione e un farmaco prodotto dall’industria che la sponsorizza.
A questo proposito, interpellati dal Blog Scire, gli autori della ricerca affermano: “In effetti abbiamo i dati di quali e quante associazioni di pazienti sono finanziate da ogni industria farmaceutica, ma non li abbiamo considerati in dettaglio per diversi motivi. Innanzitutto perché le aree terapeutiche coperte dai farmaci prodotti da ogni industria sono molte e diversificate e abbracciano diverse malattie e quindi diverse associazioni. E poi perché una disamina di questo genere sarebbe comunque parziale, dal momento che molte associazioni finanziate non hanno un sito web e non sono incluse quindi in questa analisi; inoltre va considerato che molte sponsorizzazioni non sono dichiarate sui siti delle industrie, come è emerso da un controllo incrociato con siti associazioni pazienti. In effetti sarebbe interessante estendere l’indagine, trovando il modo di includere anche le associazioni che non sono dotate di siti web.”
Naturalmente, va considerato che tutti i rischi di cui si è parlato in questo post si fanno ancora più evidenti in tempi di crisi economica, quando le aziende moltiplicano gli sforzi pubblicitari (perché è in quest’area che ricade la sponsorizzazione) e le associazioni sono maggiormente in difficoltà nel reperire i fondi necessari al loro funzionamento. (da Scire)
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