La pratica della colonscopia è associata a un ridotto rischio di mortalità da tumore colorettale, anche se l’associazione è nettamente più consistente nel caso di tumore a livello del colon distale piuttosto che a livello del colon prossimale. In ogni caso, l’effetto protettivo dello screening è valido solo se la colonscopia è effettuata da un gastroenterologo. Sono le conclusioni di uno studio pubblicato dal Journal of Clinical Oncology.
I ricercatori canadesi del St. Michael’s Hospital di Toronto coordinati da Nancy N. Baxter hanno analizzato i dati del database Surveillance, Epidemiology, and End Results (SEER)-Medicare e hanno identificato 9.458 pazienti di età 70-89 con diagnosi di tumore colorettale (3.963 a livello del colon prossimale [41,9%], 4.685 a livello del colon distale [49,5%], e 810 in sito non specificato [8,6%]) effettuata tra gennaio 1998 e dicembre 2002 e deceduti per questa patologia entro il 2007. Per ognuno dei pazienti in questione sono stati presi in esame tre individui sani come controllo (n=27.641). L’11,3% dei pazienti con diagnosi di tumore colorettale (CRC) e il 23,7% dei controlli era stato sottoposto a colonscopia più di 6 mesi prima della diagnosi. Ma nel caso dei pazienti con diagnosi di CRC la percentuale di colonscopie pregresse era inferiore (odds ratio [OR] 0,40; 95% CI, da 0,37 a 0,43); l’associazione è risultata più forte nel caso di tumore a livello del colon distale (OR 0,24; 95% CI, da 0,21 a 0,27) che nel caso di tumore a livello del colon prossimale (OR 0,58; 95% CI, da 0,53 a 0,64). Altro fattore decisivo emerso, la specializzazione di chi ha effettuato la procedura diagnostica, che presenta un effetto protettivo più marcato se eseguita da gastroenterologi.
I dati confermano quelli già evidenziati da un precedente studio pubblicato nel 2010 (Il pensiero scientifico)
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