Nel cuore di una delle zone nevralgiche della nuova mafia, una tranquilla cittadina di provincia che tanto tranquilla non è …
di Antonio Mazzeo
Poteva essere il paradiso. Invece è cemento, cemento, cemento. A destra ci sono la rocca con le rovine e il santuario di Tindari e la straordinaria riserva naturale dei laghetti di Marinello. Dalla parte opposta si scorgono il promontorio di Milazzo e i Peloritani. Di fronte l’azzurro del Tirreno e nello sfondo, nitide, le sette isole Eolie. Falcone, cittadina della provincia di Messina con meno di 3.000 abitanti, poteva essere una delle perle turistiche, ambientali e paesaggistiche della Sicilia. Il territorio, però, è irrimediabilmente deturpato da orribili complessi abitativi, alverari-dormitori per i sempre più pochi turisti dei mesi estivi. Del peggiore, risalente all’inizio degli anni ’80, nessuno ricorda più il nome originale. Lo si conosce come il “Casermone”, una miriade di miniappartamenti di appena 50 mq, a due passi dal mare. Vicine alle spiagge sempre più erose dalle correnti e dalla moltiplicazione di porti e porticcioli sorgono altre strutture soffocanti e impattanti. Ma alla furia di progettisti e costruttori non sono scampate neppure le colline, sventrate da strutture talvolta simili a vere e proprie prigioni per villeggianti.
A colpire ulteriormente il centro abitato e le frazioni collinari ci hanno pensato pure un terremoto nel 1978 e, l’11 dicembre 2008, l’alluvione generata dallo straripamento del torrente Feliciotto. Gli interventi post-emergenza hanno fatto il resto: ulteriori colate di asfalto e cemento senza che mai si mettesse in sicurezza un territorio ad altissimo rischio idrogeologico, fragilissimo e dissestato. E le speculazioni hanno richiamato la mafia, quella potentissima e stragista di Barcellona Pozzo di Gotto e delle “famiglie” affiliate di Terme Vigliatore, Mazzarrà Sant’Andrea e Tortorici. E Falcone, sin troppo debole dal punto di vista sociale, è divenuta facile preda del malaffare.
Sin dai primi anni ’70, l’economia agricola e il vivaismo erano sotto l’assedio della cosca di Giuseppe “Pino” Chiofalo (poi controverso collaboratore di giustizia). Fu proprio a causa di una tentata estorsione ai vivaisti falconesi che egli venne arrestato per la prima volta nel febbraio 1974, unitamente a Filippo Barresi, uno dei suoi più fedeli affiliati del tempo. Poi l’ecomafia poté ingrassare con i lavori autostradali e ferroviari, le megadiscariche di rifiuti di ogni genere, i piani di urbanizzazione selvaggia, i complessi turistico-immobiliari che volevano scimmiottare il disordinato residence di Portorosa della confinante Furnari. E come Portorosa, ville e villini di Falcone sono stati utilizzati come rifugio per le latitanze dorate di boss e gregari di mafia, palermitani e catanesi. Nel comune hanno risieduto stabilmente criminali e killer efferati, come Gerlando Alberti Junior, condannato in via definitiva per aver assassinato, nel dicembre del 1985, la diciassettenne Graziella Campagna di Saponara, testimone inconsapevole degli affari di droga e armi della borghesia mafiosa peloritana.
Ovvio che il territorio che non poteva restare indenne dalla guerra tra cosche che tra Barcellona e i Nebrodi farà più di un centinaio di morti tra la fine degli anni ’80 e la prima metà degli anni ’90. Un bagno di sangue per accaparrarsi appalti e sub-appalti di opere pubbliche, gestire cave e discariche, cementificare la costa e i torrenti. Omicidi efferati. Eccellenti. Il 14 dicembre 1987, ad esempio, a Falcone vennero assassinati Saverio e Giuseppe Squadrito, rispettivamente padre e figlio, entrambi pregiudicati e vicini alla criminalità barcellonese. Saverio svolgeva la professione di pescatore, mentre Giuseppe risultava titolare di un’impresa di bitumi. A giustiziare i due, un commando guidato da Pino Chiofalo, giunto nel comune tirrenico qualche ora dopo aver consumato a Barcellona Pozzo di Gotto un altro duplice omicidio, quello di Francesco Gitto, facoltoso commerciante ai vertici della vecchia mafia del Longano, e Natale Lavorini, suo dipendente.
Era originario di Falcone Vincenzo Sofia, inteso “Cattaino”, ucciso il 7 novembre 1991 dopo essere stato sequestrato in un deposito di materiale inerte di Mazzarrà Sant’Andrea. “L’omicidio fu deciso dal mio gruppo per rispondere alla morte di Giuseppe Trifirò “Carrabedda””, ha raccontato il neocollaboratore di giustizia Carmelo Bisognano, già a capo delle “famiglie” di Terme e Mazzarrà. “Ci eravamo convinti che “Cattaino” fosse vicino ai Chiofaliani ed avesse svolto la funzione di sorvegliare i movimenti di “Carrabedda” nel periodo precedente la sua uccisione”. Sofia fu condotto in una chiesa abbandonata nelle campagne di Novara di Sicilia, dove fu finito con un colpo di pistola calibro 7.65 sparatogli in fronte. Il corpo fu poi occultato nel greto del torrente Mazzarrà, in quello che per anni è stato il cimitero della mafia locale. Il 21 maggio del 1992 fu la volta del falegname Angelo Squatrito a cadere vittima di un agguato mafioso mentre si trovava al lavoro a Terme Vigliatore. Domenico Tramontana (grande estortore- gestore di bar e ristoranti a Portorosa, poi assassinato il 4 giugno 2001) e Filippo Barresi, al tempo latitanti, lo avevano scambiato per errore per Nicolino Amante, un amico di Lorenzo Chiofalo, il figlio di don Pino. Il destino di Amante era tuttavia segnato: verrà assassinato in pieno centro a Falcone diciassette giorni dopo.
Il 5 marzo 1996, ad essere ucciso sul lungomare cittadino, fu il barcellonese Felice Iannello, precedenti per truffa e ricettazione e imputato in un procedimento per furto a un deposito di acque minerali. E originari di Falcone furono pure due vittime di lupara bianca: Francesco Micari, fatto sparire la notte del 12 febbraio 1991 e Vincenzo Bertilone, scomparso il 16 maggio 1996.
Il conflitto modificherà l’organigramma delle cosche locali sino a consacrare leader Santo Gullo. Fu Pino Chiofalo, nei primi anni ’90, a rivelare agli inquirenti l’importanza assunta dal malavitoso falconese. “C’era la guerra di mafia con i barcellonesi e il nostro clan necessitava sempre più di armi efficienti e di qualità. Fu quindi per tale ragione che ci portammo a Lesa, in provincia di Novara, dove risiedeva Filippo Barresi. Costui era in stretti rapporti con un tale che risiedendo in quelle zone, era ben introdotto nel giro del grande traffico di armi dalla Svizzera e da altri paesi europei. Costui è originario di Falcone ed è in stretti rapporti con Rosario Cattafi personaggio tra i più influenti nel grande traffico di armi e di valuta, dedito al riciclaggio di denaro a livello internazionale… Se mal non ricordo tale persona si chiama Santino Gullo e nel suo paese d’origine espletava l’attività di lattoniere. So che lo stesso mantiene frequenti contatti con personaggi malavitosi del milanese ove per frequenti periodi ha anche abitato”.
Gullo era legato pure al boss Domenico Tramontana, insieme a cui fu arrestato nel 1997 per una serie di atti estorsivi perpetrati ai danni dei gestori del cantiere navale e della piscina di Portorosa. Condannato in primo grado a 8 anni di reclusione al processo scaturito dall’operazione “Pozzo” e poi assolto in appello, da qualche mese Santo Gullo ha scelto di collaborare con la giustizia. “Ho militato nel gruppo dei mazzarroti e ho commesso una lunga serie di estorsioni ed omicidi”, ha ammesso. “Io ero il responsabile di Falcone e Oliveri e mi relazionavo con il mafioso barcellonese Carmelo D’Amico”. Gullo ha pure parlato dei suoi rapporti criminali con il boss di Mazzarrà, Tindaro Calabrese, e dell’appoggio di quest’ultimo alla latitanza a Portorosa dei palermitani Salvatore e Alessandro Lo Piccolo, i luogotenenti di Bernardo Provenzano poi finiti in manette nel novembre 2007.
A sostituire Gullo a capo delle cosche operanti tra Patti, Montalbano, Falcone e Oliveri, secondo quanto raccontato da Carmelo Bisognano, ci sarebbe oggi Salvatore Calcò Labruzzo, un allevatore originario di Tortorici, ma residente – sino al suo arresto nel giugno 2011 – nella frazione Belvedere di Falcone. “Costui ha due figli, uno di nome Antonino, di professione veterinario, l’altro di nome Francesco, che dovrebbe svolgere la professione di ballerino”, ha raccontato Bisognano. “Anche Salvatore Calcò Labruzzo è stato organico al gruppo dei mazzarroti dal 1989, quando era ancora in vita Giuseppe Trifirò, detto “Carebbedda”. Quando sono uscito dal carcere, mi sono accorto che anche costui era in una posizione apicale e si occupava in particolare di estorsioni, attentati, contatti con i pubblici amministratori. Gullo e Calcò Labruzzo abitavano e operavano nel medesimo territorio ed erano da sempre in buoni rapporti. Dunque è stato del tutto naturale che, una volta che Gullo fu arrestato, il secondo abbia preso il suo posto”.
Bisognano ha pure accennato alle frequentazioni del tortoriciano con i referenti di punta dei mazzarroti, Tindaro Calabrese e Ignazio Artino: “Calcò Labruzzo è in posizione sostanzialmente paritaria con Artino. So che spesso i due si consigliano e che hanno sempre avuto dei buoni rapporti e li hanno tuttora. Si sono suddivisi il territorio. Volendo fare un esempio, per ciò che riguarda il campo dell’eolico, Artino si occupa della messa a posto nei confronti della società Maltauro tramite un ingegnere originario di Montalbano, il quale si è occupato degli espropri. Salvatore Calcò Labruzzo, invece, si occupa della messa a posto nei confronti delle imprese Cannizzo e Gullino, che operano sempre nell’eolico, in regime di sub-appalto nei confronti della Maltauro”.
L’attivismo di Calcò Labruzzo nel settore del racket è stato rilevato dalla recente inchiesta “Gotha” sullo strapotere delle cosche della fascia tirrenica della provincia di Messina. Secondo gli inquirenti, in concorso con Enrico Fumia, cognato di Carmelo Bisognano, nella primavera del 2008 egli avrebbe imposto il pizzo alla Italsystem Srl di Petralia Sottana, impegnata nei lavori di consolidamento della strada statale 113, nel tratto tra Patti e Falcone. Il presunto boss si sarebbe pure interessato al grande affaire dello smaltimento dei rifiuti. Secondo quanto riferito dal collaboratore Santo Gullo, fu proprio grazie a Salvatore Calcò Labruzzo che intorno al 2000 egli entrò in contatto con l’imprenditore barcellonese Michele Rotella, padre-padrone dei lavori nella megadiscarica dei rifiuti di Mazzarrà Sant’Andrea, condannato qualche mese fa al processo “Vivaio” a 12 anni per associazione mafiosa. “Calcò Labruzzo mi spiegò che Rotella era un amico in tutto e per tutto”, ha raccontato Gullo. Ma stando a Carmelo Bisognano, Santo Gullo e Calcò Labruzzo avevano posto sotto estorsione anche le aziende interessate ai lavori di un’altra importante discarica di rifiuti, quella di contrada Formaggiara, Tripi.
A Falcone, però, si sospetta che Salvatore Calcò Labruzzo possa aver condizionato pure l’esito delle elezioni comunali del 29 e 30 maggio 2011, che hanno riconfermato sindaco l’avvocato Santi Cirella (ex An e Forza Italia, poi Mpa), con una coalizione di ex socialisti, Pdl e Udc (corrente del sen. Giampiero D’Alia). È di questo avviso il candidato a sindaco sconfitto, il bancario Marco Filiti, presidente del Comitato Rinascita Falconese, sostenuto elettoralmente da Sel, Fli ed ex Pdl. E lo sono pure i consiglieri del gruppo d’opposizione Falcone città futura che in un documento inviato il 3 agosto 2011 al Ministero degli interni e al Prefetto di Messina, affermano che “da notizie di stampa maturate a seguito di indagini giudiziarie, si è avuta conferma che elementi che hanno partecipato attivamente e fattivamente alla determinazione dell’esito elettorale amministrativo, risultano coinvolti in tali fatti criminali”.
Malavitosi, per lo più sconosciuti agli ambienti falconesi, avrebbero percorso il paese, casa per casa, per fare incetta di voti. Alcuni di essi sarebbero stati successivamente riconosciuti nei volti comparsi sugli organi di stampa del 25 giugno 2011, con gli arresti delle operazioni antimafia “Gotha” e “Pozzo 2”. “Durante i giorni della campagna elettorale – dichiara Marco Filiti – ho personalmente segnalato sia alla locale Stazione dei Carabinieri di Falcone che alla Questura di Barcellona, il ripetersi di atti vandalici e intimidatori nei nostri confronti, con il danneggiamento sistematico del nostro materiale elettorale e con la comparsa di scritte ingiuriose sui nostri manifesti: il tutto è evidentemente verificabile dagli atti depositati”.
A destare inquietudine, poi, la vicenda di Maria Calcò Labruzzo, nipote di Salvatore Calcò Labruzzo (è figlia del fratello, anch’esso allevatore), da anni residente a Milano, ma candidatasi con successo alle amministrative in una lista pro-Cirella. Con ben 159 presenze, è risultata la consigliere comunale più votata di tutti i 36 candidati delle tre liste partecipanti. In paese c’è chi ricorda come Maria Calcò Labruzzo abbia fatto da madrina al battesimo della figlioletta di uno dei figli di don Salvatore. Il di lei fratello, Antonio Calcò Labruzzo, il giorno del suo matrimonio, fu invece accompagnato all’altare dalla moglie del boss. “Il fratello di Maria Calcò Labruzzo è pure titolare di una ditta che sino a pochi mesi prima le elezioni è stata beneficiaria di più determinazioni per svariati interventi sul territorio comunale”, ricorda Rinascita Falconese. Alla stessa azienda furono affidati direttamente i lavori di ripristino della vecchia strada a mare per circa 60.000 euro, tra i primi provvedimenti adottati nel 2006 dall’allora neosindaco Cirella. Parte delle opere vennero però eseguite dall’imprenditore di Castroreale, Salvatore Campanino, cognato del consigliere comunale di maggioranza Francesco Paratore (ha sposato la sorella). Il Campanino ha pure eseguito i lavori di demolizione di alcuni fabbricati fatiscenti, affidati per somma urgenza (valore 31.000 euro) alla cooperativa “Aurora” e di cui sarebbero soci alcuni familiari dei Calcò. Per la cronaca, Salvatore Campanino è stato condannato a 8 anni di reclusione al processo “Vivaio” contro le organizzazioni criminali operanti tra Barcellona, Terme Vigliatore e Mazzarrà Sant’Andrea, mentre compare tra gli indagati eccellenti del recentissimo procedimento “Gotha3”, insieme al boss dei boss Rosario Pio Cattafi, Salvatore Calcò Labruzzo, Tindaro Calabrese, ecc. ecc.
Il sindaco Santi Cirella respinge ogni addebito. “Del presunto clima elettorale inquinato, i consiglieri di minoranza non hanno fatto riferimento alcuno né in campagna elettorale, né tantomeno nella fase post elettorale”, spiega nella querela presentata contro gli estensori del documento pubblico. “Lo stesso Filiti, nel suo blog, ha ringraziato la cittadinanza per l’alto senso civico che ha consentito il regolare svolgimento delle elezioni. Ed è comunque destituito di qualsivoglia fondamento che l’elezione della signorina Maria Calcò Labruzzo sia stata determinata da interventi esterni. Persona dotata di alto senso civico, è dottoressa in giurisprudenza, laureata all’Università Bocconi di Milano, ha superato gli esami per l’abilitazione alla professione di avvocato e intende cimentarsi nel concorso in magistratura”.
Per Cirella, la “gestione della cosa pubblica è stata, sempre, caratterizzata dal massimo rispetto delle norme e ispirata ai principi di legalità e trasparenza”. “La passata amministrazione – aggiunge – si è contraddistinta per aver assunto provvedimenti contro la criminalità organizzata, quali l’adesione nel 2007 al protocollo di legalità Carlo Alberto dalla Chiesa. L’attuale, invece, come primo atto ufficiale, ha disposto che la cosiddetta informativa antimafia sia estesa a tutte le gare ad evidenza pubblica, qualunque sa l’importo delle stesse”.
Rinascita Falconese non è d’accordo e segnala la possibilità di un conflitto d’interessi tra l’amministrazione e l’attività di uno dei maggiori imprenditori di Falcone, Sebastiano Sofia. “Dagli atti delle inchieste in corso emerge con evidenza il ruolo del Bisognano nel favorire l’assegnazione ad imprenditori amici delle opere di metanizzazione nei comuni del comprensorio: e proprio in quegli anni il Sofia Sebastiano eseguì tali interventi non solo a Falcone, ma anche in altri paesi vicini” sottolinea Marco Filiti.
Dopo le elezioni amministrative del 2011, il figlio, Giuseppe Sofia, è stato nominato assessore comunale. “Durante la prima legislatura dell’avvocato Cirella, i più stretti congiunti del Sofia hanno ricevuto alcune concessioni edilizie, una delle quali, nel febbraio 2009, su una porzione di territorio collinare della frazione Sant’Anna dichiarata a rischio di dissesto idrogeologico ed, appena tre mesi prima, evacuata nei giorni dell’alluvione del dicembre 2008”, segnala Rinascita Falconese. Alla ditta dei Sofia sono stati affidati pure i lavori di realizzazione del cosiddetto lungomare per la somma di circa 125.000 euro, circostanza oggetto di denuncia di nove consiglieri nella scorsa legislatura. “È inoltre notoria l’amicizia di Sebastiano Sofia con consiglieri e assessori comunali”, aggiunge il comitato. Alcune foto della scorsa primavera, postate su facebook, ritraggono in posa e sorridenti il costruttore accanto al padre e al fratello della neoconsigliere Maria Calcò Labruzzo e all’assessore in carica Giuseppe Battaglia (delega allo sport, turismo, spettacolo, commercio, settori produttivi, sviluppo economico ed occupazione), ex vicepresidente del consiglio comunale di Falcone.
A gettare ombre sulla gestione delle opere pubbliche ci sono pure i collaboratori di giustizia. Deponendo al processo d’appello “Sistema” sul tavolino mafioso degli appalti nel barcellonese, Santo Gullo si è soffermato sulle modalità con cui le imprese di fiducia dei clan vincevano le gare nei “comuni di riferimento” di Oliveri, Falcone e Mazzarrà. “Parlavano col tecnico, si mettevano d’accordo con lui… quando non c’era il tecnico si portavano tante buste e chi vinceva lo dava in subappalto. Poi si facevano regali sostanziosi ai tecnici comunali”.
Ancora più esplicito l’ex boss Carmelo Bisognano al processo “Vivaio”. “Ad occuparci degli appalti eravamo io e i barcellonesi Sem Di Salvo e Maurizio Marchetta”, ha raccontato Bisognano. “Per pilotare alcune gare, si avvicinavano alcuni funzionari pubblici, come i capi degli uffici tecnici di Falcone, tale Fugazzotto e di Mazzarrà Sant’Andrea, geometra Roberto Ravidà”. E sempre relativamente ad Antonio Fugazzotto, responsabile dell’ufficio tecnico di Falcone dalla seconda metà degli anni ’70, Bisognano ricorda di averlo raggiunto in ufficio, intorno al 2000, per discutere dell’appalto dei lavori di canalizzazione delle acque. “Mi sedetti di fronte la sua scrivania e gli dissi senza mezzi termini che l’appalto doveva essere vinto dall’impresa Mastroeni Carmelo, riconducibile alla famiglia barcellonese ed a Sem Di Salvo che mi diede l’incarico di andare dal tecnico comunale. Ovviamente Fugazzotto acconsentì alla mia richiesta perché conosceva la mia fama di personaggio autorevole sul territorio”.
Gli inquirenti hanno potuto verificare che la gara per il rifacimento dei torrenti venne vinta nell’agosto 2002 dall’associazione temporanea tra le imprese barcellonesi N.C.S. Costruzioni sas (di proprietà di Santa Ofria, moglie del mafioso Sem Di Salvo) e CO.GE.CAL. srl, con un ribasso di appena lo 0,2% sull’importo di gara di 471.000 euro. I lavori vennero poi affidati alla Sud Edil Scavi Srl di Merì, rappresentata da Carmelo Mastroeni, a seguito delle rinunce delle aziende vincitrici e dopo che la stessa N.C.S. era stata rilevata dalla CODIM srl di Barcellona Pozzo di Gotto, nella titolarità di Rosa Carpone, moglie di Carmelo Mastroeni.
“Dopo una prima fase di attrito col sindaco Cirella in cui venne esautorato con la nomina a responsabile di un tecnico esterno, dopo la tragica alluvione che colpì Falcone nel 2008, il geometra Fugazzotto è tornato a fare da regista degli interventi che le imprese hanno messo in opera durante e dopo l’emergenza alluvionale”, spiega Marco Filiti. La tragedia fu trasformata da alcune aziende contigue alla criminalità organizzata in occasione per moltiplicare gli affari. Qualche lavoro finì nelle mani dell’immancabile Salvatore Campanino (anch’egli arrestato nell’ambito dell’operazione “Gotha3”) o dell’imprenditore barcellonese Carmelo Trifirò, finito anch’egli in carcere per associazione mafiosa, ma ciò, secondo il Comitato Rinascita Falconese, “non avrebbe impedito all’attuale amministrazione di liquidargli le somme richieste per gli interventi emergenziali”. Nell’ambito dell’inchiesta “Torrente” gli investigatori hanno avuto modo di accertare che in data 18 dicembre 2008, anche la ditta individuale facente capo a Nunzio Siragusano è stata assegnataria dell’esecuzione di lavori di somma urgenza. Nelle carte dei magistrati, l’imprenditore viene definito “soggetto dai numerosi precedenti giudiziari sofferti” e dall’“acclarata contiguità alla consorteria storicamente retta da Bisognano Carmelo”.
L’ultima sorpresa nel piccolo comune tirrenico sa di squadrette, compassi, cappucci e grandi architetti dell’universo. L’odierno vicesindaco di Falcone, Pietro Bottiglieri, è risultato appartenere infatti alla loggia massonica “Ausonia” di Barcellona Pozzo di Gotto, sotto inchiesta dal 2009 per presunta violazione della legge “Spadolini-Anselmi” che vieta la costituzione di associazioni segrete. “Gli obiettivi che si prefiggono non appaiono riconducibili alla conduzione di studi filosofici ed approfondimenti culturali bensì all’acquisizione ed al consolidamento di posizioni di vertice, nei contesti professionali e lavorativi in cui operano, ed incarichi presso strutture sanitarie che forniscono un bacino elettorale a cui attingere di volta in volta nelle competizioni amministrative e politiche, dietro cui staglierebbe, quale promotore e artefice ideatore, la figura del senatore Domenico Nania”, scrivono i magistrati della DDA di Messina nella richiesta di autorizzazione alla perquisizione della superloggia.
Pietro Bottiglieri, dopo aver prestato servizio trentennale quale ragioniere del Comune di Falcone, ha espletato il ruolo di esperto contabile nei Comuni di Terme Vigliatore e Furnari (entrambi poi sciolti per infiltrazioni mafiose). Infine l’ingresso nella politica attiva, prima da candidato a sindaco di Falcone nel 2006 e, dopo la sconfitta, da assessore della prima giunta diretta da Cirella. Con le amministrative 2011, Bottiglieri è divenuto il braccio destro del sindaco rieletto. Ciò nonostante sia divenuta pubblica la deposizione di Santo Gullo su un intervento del barcellonese Carmelo Messina, presunto affiliato al gruppo di Carmelo D’Amico, per comporre un rapporto estorsivo che le cosche locali intendevano imporre alla tabaccheria di proprietà dell’odierno amministratore. “Nel 1995 io ed il Calcò Labruzzo abbiamo avvicinato Pietro Bottiglieri”, ha esordito Gullo. “Egli temporeggiò e contattò tale Mida Nunzio, soggetto che si occupava di estorsioni ed amico dei fratelli Ofria… Sem Di Salvo contattò Carmelo Messina e gli disse di comunicare al Bottiglieri di pagare a me ed a Calcò Labruzzo, dal momento che era sempre la stessa cosa. Ricordo che Di Salvo disse o a Barcellona o a Falcone non cambia niente, tanto i soldi vanno a finire sempre alla stessa famiglia”.
“Proprio quest’ultima circostanza evidenzia in maniera inconfutabile che all’interno della coalizione a sostegno del Cirella c’è chi è pienamente consapevole del ruolo di primo piano del Calcò nell’ambito della malavita organizzata” sottolinea Rinascita Falconese. “Abbiamo chiesto all’on. Rita Borsellino di sollecitare il Prefetto di Messina ad attenzionare con urgenza la vita amministrativa della cittadina”, spiega il presidente. “L’europarlamentare ci ha assicurato che il caso-Falcone verrà inserito nel quadro delle iniziative di Sicilia bene comune. L’unico modo per sottrarre il Comune alla cappa asfissiante sotto cui attualmente giace è quella di procedere, nel minor tempo possibile, all’invio di una Commissione prefettizia che accerti le condizioni per lo scioglimento del consiglio comunale e la decadenza dell’attuale sindaco per evidenti e costanti infiltrazioni di stampo mafioso nella gestione dell’amministrazione pubblica”. Con la speranza che a Falcone non si ripeta quanto accaduto nella vicina Barcellona Pozzo di Gotto, due volte graziata dal Governo in meno di cinque anni, nonostante i gravissimi rilievi delle commissioni prefettizie d’inchiesta.
Articolo pubblicato in I Siciliani giovani, n. 7 luglio-agosto 2012
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