Li manda Capone. Il padre. La madre. Il fratello e la cognata. Un po’ di cugine e di cugini. Gli amici e gli amici degli amici…: E la moglie del sindaco e quella del collega consigliere. I congiunti e gli sbrigafaccende del barbuto senatore. Tutti funzionari, tutor e docenti dell’ennesimo ente di formazione che dispensa diplomi di operatore del benessere, socio-assistenziale e ai servizi per l’infanzia, segretario, programmatore informatico, estetista, massaggiatore non medicale, responsabile servizi di ristorazione, tecnico energie rinnovabili, assistente alla comunicazione, eccetera, eccetera, eccetera. Una fabbrica di sogni e forse pure di consensi elettorali. A capo lui, Carmelo “Melino” Capone, un democristiano cresciuto all’ombra dell’on. Giuseppe D’Andrea (instancabile animatore sino alla prematura scomparsa delle cooperative bianche locali), poi componente del Cda dell’istituzione dei servizi sociali del Comune di Messina, infine folgorato dai postfascisti di Alleanza nazionale di Barcellona Pozzo di Gotto, quelli alla corte di Domenico “Mimmo” Nania, il senatore, e Giuseppe Buzzanca, il colonnello.
Comanda Capone. Lui, Melino Capone, è – cioè era – il commissario in Sicilia di Ancol, l’associazione delle comunità di lavoro, onlus senza scopo di lucro con sede a Roma. Ma è (cioè era) anche l’assessore comunale alle politiche del lavoro e alla mobilità urbana a Messina, nella giunta di centrodestra del sindaco Buzzanca, dimessosi alla vigilia delle elezioni regionali con la speranza, infranta, di confermare il proprio seggio all’ARS. E di lavoro ne ha sicuramente prodotto tanto, non all’assessorato ovvio, ma al’interno del “suo” ente di formazione professionale. Per amici e parenti. Con il veto degli organi dirigenti nazionali di Ancol (che lo avevano sfiduciato da tempo) e in violazione delle leggi regionali, come ritiene la Procura della Repubblica di Messina che accusa Capone di “truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche”. Dal 2006 al 2011 il commissario non più commissario avrebbe ottenuto illegittimamente 13 milioni e 630.000 euro di finanziamenti, il 70% dei quali erogati dal Fondo Sociale Europeo, il 21% dallo Stato e il 9% dalla Regione Siciliana. (enricodigiacomo)
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