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mercoledì 29 febbraio 2012

La meritocrazia affondata e l'assurda riforma Brunetta

Ma al di là delle ragioni tecniche, pesa un ritardo culturale: il 60 per cento degli italiani pensa che tutti dovrebbero guadagnare allo stesso modo


All'Italia serve una cura: la meritocrazia. Ne va dello sviluppo, della crescita economica, del futuro stesso del Paese. E se quella sui "fannulloni" è solo la battaglia iniziale, la guerra si conclude - o così sembra - un anno dopo. Settembre 2009: il Parlamento licenzia la riforma del professore ministro. E dove non poterono le masse, poté Brunetta: "E' una rivoluzione. Questa legge cambierà la vita degli italiani". Niente di più lontano dalla realtà.

I vizi sono ancora tutti qui. Clientelismo e affini, familismo amorale e non, ogni forma possibile di nepotismo. E poi cooptazioni, raccomandazioni, segnalazioni più o meno abusive. Perché nell'Italia del 2012, tra le montagne russe dello spread e l'economia reale in sofferenza, la meritocrazia sembra, semplicemente, non pervenuta.
da Repubblica
Meritocrazia nella Pubblica Amministrazione

Uffici del Senato: sommerso tra atti e un'agenda in costante evoluzione, il senatore Pietro Ichino affronta la questione in maniche di camicia: "Il settore pubblico è ancora in gran parte sottratto a quella verifica di efficienza che è data, per le aziende private, dall'operare nel mercato". Il punto è "introdurre anche nelle pubbliche amministrazioni degli elementi di mercato, di concorrenza. E introdurre la misurazione delle performance dei servizi forniti". Questi sulla carta erano anche gli obiettivi della riforma Brunetta. L'incompiuta.

Peccato infatti che, dopo averla emanata, il governo Berlusconi l'abbia praticamente depotenziata. I premi di merito restano, perlopiù, lettera morta. Rinviati causa crisi. Perché con il blocco per legge della contrattazione collettiva (decreto legge 78/2010) è rimandata anche l'entrata in vigore del nuovo sistema di incentivi individuali. Ovvero, uno dei punti cruciali per aprire le porte degli enti pubblici al merito, mandando in soffitta la consuetudine di distribuire premi a pioggia. Un'abitudine cattiva e, ovviamente, diffusa. Infatti, secondo un'analisi del professore della Bocconi Giovanni Valotti, il 95 per cento dei dipendenti pubblici ha una valutazione che in una scala 1 a 100, supera il 90. Tutti bravi, insomma. E lo stallo non finisce qui. Dopo la carota, addio anche al bastone. Con l'intesa del 4 febbraio 2011 tra governo e Cisl e Uil, le sanzioni ai dirigenti che non raggiungono gli obiettivi prefissati vengono azzerate.

Tuttavia, il mercato non è la panacea al mal di merito. Il privato, almeno in Italia, non è del tutto esente da certi vizi del pubblico impiego. Clientelismo e nepotismo sono anche qui. A volte, persino in forma contrattualizzata. Come nel caso delle banche, ben disposte negli ultimi anni a firmare accordi sindacali per incentivare gli esuberi che prevedono vie preferenziali per l'assunzione dei figli. Posti di lavoro in eredità insomma.

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