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venerdì 17 febbraio 2012

Malaffare e mal d’affari

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Sarà il posto fisso, ma che monotoni, che noiosoni quelli della corte dei conti, ogni anno con la stessa lagna: “Le dimensioni del malaffare sono superiori a quelle che vengono, spesso faticosamente, alla luce”. E “la corruzione in Italia vale circa 60 miliardi di euro l’anno ma nel 2011 sono state inflitte condanne solo per 75 milioni di euro. Se l’entità monetizzata della corruzione annuale in Italia è stata correttamente stimata in 60 miliardi di euro dal SAeT del Dipartimento della Funzione Pubblica rispetto a quanto rilevato dalla Commissione Ue, l’Italia deterrebbe il 50% dell’intero giro economico della corruzione in Europa”.


Ma che cosa vogliono, mica si può fare tutto subito. Sbuffando, forse sbadigliando, la Severino risponde: “Mi sembra che sia un allarme che tutti gli anni ci accompagna a riprova del fatto che il fenomeno non è stato debellato ma nessuno di noi ha mai pensato che fosse stato debellato”. Certo occorre condurre “una battaglia estremamente seria” contro il fenomeno della corruzione, dice la guardasigilli ricordando che in Parlamento si sta discutendo di prevenzione relativamente al ddl anticorruzione. “Poi si partirà con il grande progetto sulla corruzione sul quale ovviamente c’è bisogno di tempo perché occorre prepararlo in maniera corretta. Credo molto in questo progetto ma proprio nei progetti nei quali si crede occorre concentrare la massima attenzione”.

Si si, il disegno di legge doveva essere discusso alla Camera il 27 febbraio. Ma occorre studiare bene la materia, non per niente è il governo dei professori, di solito svelti svelti, dinamici, praticoni. Ma da buoni amici dell’Europa attenti al principio di precauzione: in fondo i pensionati chi li conosce, si può essere sbrigativi, ma nel target della corruzione magari finisci per pestare i piedi a qualche amico, affine, sostenitore esterno o interno del governo.

Amici dell’Europa si, ma non tanto da ratificare la convenzione di Strasburgo, firmata nel 1999, adottata perfino dalla Lettonia, un blando edificio di dettami più ideali che operativi, ma che evidentemente non si addice a chi ama le questioni di principio, ma non i principi e nemmeno i simboli.

Amici del liberismo quindi nemici di uno stato forte: istituzione, moneta e apparato statale deboli rafforzano organizzazioni e sistemi paralleli privati, quelli che si nutrono con le alleanze opache, l’aleatorietà delle regole e l’elusione delle leggi, la ricattabilità dei cittadini e dei lavoratori, soprattutto quelli più esposti e precari, che chiamano flessibilità.

Amici dell’arbitrarietà di un ceto superiore che regola in maniera discrezionale le relazioni sociali sicché i diritti diventano di volta in volta elargizioni, privilegi, concessioni e per accedervi bisogna aderire a un sistema di fidelizzazione, pagare un qualche prezzo fatto di rinuncia o omologazione, partecipare a quella cultura del clientelismo che si configura come una socializzazione di massa alla pratica dell’illegalità.

Magari non praticano la corruzione, se non come fenomeno ideologico di persuasione esplicita e dispotica a modelli di consumo e di vita. Ma certo la favoriscono, concedendola come via d’uscita in un sistema disorganizzato, inefficiente, incerto e ingiusto. E non la combattono se si vietano le Olimpiadi per la dichiarata impotenza a stabilire regole trasparenti, a ripristinare condizioni di legalità, a sostenere la lotta alla criminalità organizzata.

Nei primi decenni del secondo dopoguerra nelle principali democrazie europee ci sono stati episodi di corruzione, ma la corruzione non è diventata sistema, perché il quadro politico era costituito da partiti fortemente credibili, che erano stati legittimati dalla lotta per la libertà contro il nazifascismo e disponevano di grandi capacità di decisione e di indirizzo della società.

Ma da noi i partiti sono stati sempre meno capaci di rispondere in modo tempestivo e adeguato ai nuovi bisogni di una società più consapevole ed esigente rispetto al passato. Hanno surrogato la vecchia legittimazione ideologica con una forma di avallo che faceva ricorso in modo diffuso e ordinario allo scambio dei favori e alla corruzione come strumento di finanziamento.

In questa circolazione di un’aria viziata, a vent’anni da Mani Pulite, anche la corruzione ha perso competenza e specializzazione: pur restando all’interno di un quadro sistemico soprattutto indirizzato a determinare l’andamento degli appalti, delle gare, degli incarichi, si è assistito a un peso crescente degli attori privati, al passaggio a forme più primitive di compravendita, a una mutazione della tipologia dei soggetti attivi. Gli imprenditori diventano politici, restandolo, improbabili mediatori d’affari trovano accessi facilitati all’amministrazione pubblica, criminali si fanno eleggere negli organi del governo locale o nominare negli enti pubblici.

E in assenza di contrappesi la pratica della corruzione si autoalimenta dando luogo a una spirale che emargina o spinge all’autoesclusione i non corrotti dalla politica istituzionale e dai mercati economici.

Anche la corruzione è globale, utilizza appieno l’internazionalizzazione delle grandi organizzazioni criminali, e le facilitazioni dell’immaterialità delle transazioni. Ad una grande criminalità organizzata corrisponde una legalità ancora disorganizzata, legata ai vecchi moduli ottocenteschi chiusi nei confini degli Stati nazionali, incapace di gareggiare in velocità ed efficienza con le forme più moderne di criminalità. E la corruzione è lo strumento principale della criminalità organizzata. Senza corruzione non sarebbe possibile mantenere in piena efficienza il mercato mondiale degli stupefacenti, le attività di riciclaggio del denaro sporco, l’evasione.

Paradossalmente un governo così attento e subalterno alle relazioni con l’Europa e con la comunità internazionale rinvia l’adeguamento della nostra legislazione alle richieste degli organismi europei e agli impegni che l’Italia stessa ha preso con la in contesto mondiale, agendo con leggi che contrastino seriamente le due principali cause del declino del Paese e della diseguaglianza sociale: la corruzione e l’evasione fiscale. Le convenzioni internazionali, regolarmente sottoscritte dallo Stato italiano, alcune mai ratificate dal Parlamento italiano, da quella di Merida sulla criminalità organizzata del 2003 a quella di Strasburgo del 1999 sulla corruzione, ma anche le raccomandazioni dell’Ocse, impegnano gli Stati a intervenire su cinque punti fondamentali: trasparenza dei flussi contabili, trasparenza dei flussi finanziari, sistema della prescrizione, “enforcement” (efficacia d’intervento degli organi preposti alla repressione), corruzione privata nazionale e internazionale. Il contrasto alla corruzione privata è previsto dalla Convenzione di Strasburgo, eppure siamo praticamente i soli a non prevederla come reato eppure è una delle prime cause del degrado dell’economia reale.

Altro che articolo 18. Ma se il Vangelo secondo Monti, la lettera della Bce al nostro governo, deve essere osservato come una legge morale e politica, si dovrebbe adempiere all’impegno di contrastare i mali che ancor più che in Grecia danneggiano l’economia e paralizzano lo sviluppo, collocando tra le priorità la lotta alla criminalità economica, che ammala nostra democrazia. La lettera non la cita, facciamo finta che sia perché è data per scontata, come una precondizione di esistenza di uno Stato democratico. Oppure è scontata perché non conta?

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