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lunedì 27 febbraio 2012

MANUALE ANTIMAFIA - Parte 1: La macchina della giustizia

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articolo di Valerio Valentini per Byoblu.com

Quando sentiva parlare di invincibilità della mafia, Giovanni Falcone rispondeva così: “La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano, e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni”.

Quest’anno ricorre il ventennale del suo omicidio. Per onorare la sua memoria è dunque necessario esigere l’impegno delle istituzioni, non il sangue di altri eroi. Iniziamo allora oggi un percorso in quattro parti, che verranno pubblicate ogni lunedì da qui a un mese, dove insieme a magistrati e giornalisti in trincea contro il crimine organizzato proveremo a proporre riforme importanti del codice di procedura penale e delle misure di prevenzione antimafia, sia a livello nazionale che internazionale.

Oggi parliamo di come combattere più efficacemente la mafia intervenendo in maniera semplice ed efficace sulla macchina della giustizia.



MANUALE ANTIMAFIA

Parte 1: La macchina della giustizia

Nicola Gratteri è convinto che basterebbe riformare una decina di articoli del codice penale, “e a quei mafiosi gli faremmo un culo così… Ma se queste riforme, che devono riguardare anche la scuola e l’istruzione, non vengono attuate con convinzione e celerità, si finisce soltanto con l’abbaiare alla luna”. E vediamo, allora, alcune di queste proposte.

1. La posta certificata


Una molto basilare riguarda l’introduzione della posta elettronica certificata obbligatoria. Forse in pochi conoscono il modo in cui i magistrati sono abituati (e spesso costretti) a comunicare tra loro, con procedimenti che farebbero ridere anche gli uomini del mesolitico. Quando finisce un’indagine, ad esempio, bisogna notificare alle parti l’avviso di fine indagine. Oggi tale notificazione viene eseguita fisicamente da un ufficiale giudiziario o dalla polizia giudiziaria. “Fisicamente” significa che ci sono centinaia e centinaia di agenti che ogni giorno, anziché fare indagini, se ne vanno in giro per l’Italia con faldoni di documenti enormi, come i missi dominici di Carlo Magno. E questo sistema preistorico, oltre a sottrarre uomini alle indagini, costa milioni di euro e provoca ritardi e guai burocratici. Tant’è che mediamente, per comunicare l’avviso di fine indagine dei processi di mafia, ci vogliono dai tre ai quattro mesi. E spesso succede che per i disguidi banali che questo procedimento lento e farraginoso provoca, i detenuti escano per decorrenza dei termini e sia necessario ricominciare da capo.



Uno dice: chissà quanto sarebbe complicato istituire un sistema più efficiente, rapido ed economico. E invece basterebbe introdurre l’obbligatorietà per i magistrati di utilizzare la posta elettronica certificata, in maniera tale che un medio operatore di diritto impiegherebbe dieci minuti a comunicare qualsiasi avviso a 70 avvocati sparsi per l’Italia. Questo ridurrebbe, secondo Gratteri, anche il potere discrezionale del giudice, e quindi anche la possibilità di abusi.

2. Intervenire sui consulenti giuridici


Poi c’è la questione dei cosiddetti “fuori ruolo”, ovvero di tutti quei magistrati – sono più di 200 – che anziché svolgere la funzione per cui sono preparati e per cui hanno studiato, sono costretti a starsene nei ministeri, o nelle province, nelle regioni e nei comuni, a fare i consulenti giuridici. Che detto così può sembrare una mansione di estrema responsabilità. Ma tradotto in parole semplici, un “consulente giuridico” è spesso un magistrato che decide sull’acquisto di scrivanie, stampanti e computer per un ufficio piuttosto che per un altro. E capita che ad espletare questi oneri siano magistrati con vent’anni di carriera alle spalle, che costano allo Stato quasi 6 mila euro al mese. Quindi, anche in questo caso, oltre a rinfoltire le schiere di magistrati che operano davvero sul campo, una riforma semplice garantirebbe anche un risparmio considerevole, dal momento che quel tipo di consulenze possono essere tranquillamente eseguite da un ragioniere o da un avvocato che costano la metà di un magistrato professionista, eccezion fatta per pochi casi in cui è richiesta una competenza specifica. “Ma sono pochissime – spiega Gratteri – queste eccezioni: si tratta del ministero della giustizia, dell’ufficio per le rogatorie internazionali, dell’ufficio ispettivo e dell’ufficio legislativo”.

3. Chiusura dei tribunali inutili


Altra cosa da fare, e possibilmente subito, sarebbe chiudere una ventina di tribunali, che nel libro “La giustizia è una cosa seria” – scritto a quattro mani da Gratteri stesso con Antonio Nicaso – vengono definiti inutili. Ma come? Bisogna aumentare l’efficienza della magistratura e si vogliono contemporaneamente chiudere i tribunali? La contraddizione è soltanto apparente. Avere procure con uno o due sostituti procuratori, infatti, non ha alcun senso. È soltanto una spesa superflua, perché si è costretti a tenere attive strutture che non potranno mai essere davvero operative in maniera efficace. Invece, chiudendo i tribunali più piccoli, si potrebbe accorpare il personale, creare pool più coordinati e in grado di sostenere lavori e indagini più gravosi. E significherebbe anche risparmiare un sacco di soldi (meno auto blindate, meno autisti, meno strutture da dover arredare, riscaldare o raffreddare…). Secondo il magistrato di Reggio Calabria, ad esempio, soltanto in Piemonte esistono ben 17 tribunali (in media, uno ogni 20 chilometri), ma almeno dieci potrebbero essere chiusi domani mattina.

Poi ci sono le sezioni distaccate: anche quelle si dovrebbero eliminare, così da portare nelle casse dello Stato nuova liquidità da reinvestire nella lotta alla criminalità. E infine ci sono i Tribunali di sorveglianza, molti dei quali potrebbero essere accorpati tra loro. È il caso di quello di Reggio Calabria, che potrebbe essere unito a quello di Catanzaro, e quello di Messina con quello di Catania.

Tutto ciò contribuirebbe a smaltire qualcosa come il 60% degli arretrati, a rendere più veloci i processi e magari ad evitare la scadenza – ormai sempre più regolare – degli indulti. E renderebbe così la Giustizia credibile agli occhi di chi subisce abusi e soprusi dalle mafie ogni giorno, convincendo i commercianti e gli imprenditori minacciati e costretti a pagare il pizzo a rivolgersi ai magistrati.

Solo quando avremo file di gente fuori dai nostri uffici pronti a denunciare gli ‘ndrnaghetisti e i mafiosi – è solito ripetere Gratteri, che ci ha accompagnato in questa prima puntata della nostra inchiesta –, solo allora potremo dire che stiamo vincendo noi, nella lotta contro gli infami”.

Valerio Valentini

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