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giovedì 26 luglio 2012

Il caso Scarpinato: chi lotta contro la mafia è “incompatibile”

Licia Satirico per il Simplicissimus
Roberto Scarpinato è un magistrato in prima linea nella lotta a Cosa Nostra, meno conosciuto di altri e forse ancora più implacabile. Impossibile riassumere la sua carriera senza toccare il cuore dolente della storia degli ultimi decenni del nostro Paese: è stato membro del pool antimafia diretto da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, è stato pubblico ministero nei processi per gli omicidi di Pio La Torre, di Piersanti Mattarella, di Michele Reina e di Carlo Alberto Dalla Chiesa. Ha sostenuto l’accusa nel processo contro Giulio Andreotti, ha condotto indagini sui rapporti tra mafia e massoneria deviata e su mafia e Stato. Ha assunto – tra le altre cose – la direzione del Dipartimento mafia-economia, smantellando patrimoni illegali per miliardi di euro.

Oggi Roberto Scarpinato, procuratore generale presso la Corte d’Appello di Caltanissetta, aspira alla nomina a procuratore Generale di Palermo. Morettianamente parlando, si tratta del candidato di minoranza: il favorito è il moderato Francesco Messineo, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo e direttore della Direzione Distrettuale Antimafia. Nonostante tutto, la sola idea della nomina di Scarpinato agita i sonni di Nicolò Zanon, componente non togato del Consiglio Superiore della Magistratura. Il membro laico del Pdl ha chiesto al comitato di presidenza del CSM di aprire un fascicolo su Scarpinato presso la Prima Commissione, competente sui provvedimenti disciplinari e sui trasferimenti d’ufficio dei magistrati per incompatibilità ambientale e funzionale. Gli atti, con incredibile tempismo, sono già stati inviati alla Prima Commissione e al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione.



Il motivo di tanta solerzia sarebbe da ricercare nelle parole durissime di Scarpinato in occasione del ventennale della strage in cui perse la vita Paolo Borsellino. Il procuratore ha letto pubblicamente una sua lettera a Borsellino, in cui ha definito “imbarazzante” partecipare alle cerimonie ufficiali sulle stragi di Capaci e di via D’Amelio per la presenza «talora tra le prime file, nei posti riservati alle autorità», di «personaggi dal passato e dal presente equivoco», le cui esistenze, secondo un’espressione dello stesso Borsellino, emanano «puzzo di compromesso morale». Vite da «piccoli e grandi maggiordomi del potere, questuanti pronti a piegare la schiena e a barattare l’anima». A tutti costoro Scarpinato ha chiesto di restare a casa il 19 luglio e, soprattutto, di tacere.

Il punto cruciale è proprio questo: può un magistrato rinunciare a tacere chiedendo ad altri di farlo? La questione non è per nulla originale, come i lettori di questo blog ormai sanno. Polemiche dello stesso tenore esplodono ogni volta che un magistrato si dichiari partigiano della Costituzione o prorompa in quelle esternazioni “esorbitanti” su cui è caduto, severo, lo stigma di Napolitano: quello stesso Napolitano che ha ritenuto inammissibile essere intercettato nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, salvo poi chiedere pubblicamente la verità sulle stragi di mafia del 1992.

Questo è l’ennesimo capitolo di una storia di schizofrenia istituzionale: è la patologia di una Repubblica che potrebbe esser nata da un patto innominabile, secondo indagini tardive che stanno sfociando in un processo dagli esiti comunque sconvolgenti. È un processo pirandelliano in cui gli accusatori sono accusati, gli amici degli accusati sono più inquietanti dei loro complici, gli imputati si proclamano vittime, i testimoni parlano troppo al telefono e i luoghi esotici di supposti esborsi corruttivi sono vicini a quelli in cui gli inquisitori sono opportunamente mandati a fare lunghi stage per le Nazioni Unite.

In questo grottesco gioco delle parti Scarpinato è fuori posto: non ha mai confuso i ruoli, il senso della sua presenza, il silenzio omertoso e quello pieno di rabbia. Non ha mai dimenticato la lezione di Paolo Borsellino e ne parla in modo aperto, rinunciando alla continenza verbale mai richiesta ai professionisti del compromesso. Ma la cosa più curiosa è che il suo presunto difetto di imparzialità viene censurato da un consigliere legato al partito che più di ogni altro su queste stragi dovrebbe tacere. O parlare, una buona volta.

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