Licia Satirico per il Simplicissimus
Associata al sostantivo “segretario”, la preposizione “sotto” segnala un elemento misterioso, sommerso, oscuro e addirittura inferiore. Dovrebbero esistere, per contrappasso, soprasegretari con tanto di aureola e deleghe ai massimi sistemi, ma questo è il mondo reale e non è il migliore tra quelli possibili. Fatto sta che la maledizione montiana degli unter-ministri prosegue trionfalmente: adesso tocca ad Adelfio Elio Cardinale, potente viceministro della salute in tempi di spending review.
Ordinario fino al 2011 di diagnostica per immagini e radioterapia presso l’università di Palermo (dove è stato anche preside della facoltà di medicina e prorettore), cavaliere di gran Croce, vicepresidente dell’Istituto superiore di Sanità, capo di gabinetto del presidente del Senato Renato Schifani e laureato honoris causa in Romania, il professore dal nome profetico è indagato insieme ad altre ventidue persone per truffa, falso ideologico e usurpazione di pubbliche funzioni. L’inchiesta in cui è coinvolto nasce, in realtà, nel 2002 ed è divisa tra Bari e Palermo: secondo i magistrati baresi, Cardinale deve essere rinviato a giudizio per aver favorito mediante artifizi e raggiri la figlia di un illustre collega cardiologo, facendole vincere nel 2005 un posto di ricercatore. Il danno erariale per l’ateneo palermitano si aggira sui 347.336 euro lordi, in tutti i sensi. La lunga indagine in cui è coinvolto il viceministro avrebbe svelato l’esistenza di una cupola affaristico-accademica, in grado di pilotare una serie di concorsi nel settore della cardiologia. Ora tocca ai pm palermitani, noti sovversivi, valutare il ruolo di Cardinale nel cupolone cardiologico, mentre la posizione del radiologo – secondo i suoi avvocati – si avvia a sicura prescrizione.
Le disavventure cardio-penalistiche di Cardinale non hanno in sé nulla di originale: sembra un caso quasi ricorrente di familismo amorale, che però stavolta vede implicato uno stendardo della meritocrazia montiana. Con Cardinale, Monti fa strike di sottosegretari “tecnici” improponibili.
Tutto cominciò con Carlo Malinconico, sottosegretario alla presidenza del consiglio, costretto alle dimissioni dopo le vacanze all’Argentario pagate dall’estroso Francesco De Vito Piscicelli, a sua volta indagato per la vicenda della cricca del G8. Poi continuò Andrea Zoppini, ex viceministro della giustizia, sotto inchiesta per frode fiscale e dichiarazioni fraudolente. Non si è mai dimesso, invece, Roberto Cecchi, già direttore generale per i beni storico-artistici ed etno-antropologici, promosso a viceministro dei beni culturali, per la consueta meritocrazia, dall’attuale premier. Nello scorso febbraio Cecchi è stato rinviato a giudizio dalla Corte dei Conti per un presunto danno erariale di oltre tre milioni di euro: sarebbe l’artefice dell’incauto acquisto, nel 2008, di un crocifisso-patacca attribuito a Michelangelo, venduto come capolavoro a un dolente Bondi pur essendo, con ogni probabilità, opera di un artista minore.
I sottosegretari non inquisiti non sono stati, per conto loro, né minori né in tono minore. Lignei come il crocifisso-patacca, il Martone degli sfigati, il Polillo degli esodati, il Mazzamuto che vota contro se stesso al Senato ci hanno rivelato con evidenza scientifica che l’intelligenza sulla terra è uguale a costante, mentre la popolazione è in aumento. Non pago degli avvilenti risultati, Monti continua a nominare viceministri in sostituzione dei processabili: l’ultimo si chiama Sabato Malinconico come il primo dimissionario, ma con una nota crepuscolare che rinvia alla fine dei giochi, all’innocenza perduta. La nostra, ovviamente.
È ormai impossibile credere alla balla dei tecnici di chiara fama, delle persone sobrie che avrebbero sostituito gli impresentabili siniscalchi del presidente operaio. In Italia il sottosegretariato è sempre stato interpretato come un feudo clientelare o ereditario, oggi imbellettato dietro l’egida della competenza, dell’efficienza e della professionalità. Solo che la posta in gioco è diventata troppo importante: dopo i rampanti sottosegretari di Stato potrebbe non esserci più uno Stato, svenduto dai pareggi di bilancio, assottigliato dai tagli lineari e dalla politica dei sacrifici necessari. Uno Stato mercanteggiato, oggetto ieri di inestricabili trattative con l’antistato e oggi di negoziati speculativi fallimentari.
Certo, non si può pretendere dai viceministri la continenza che manca ai titolari dei dicasteri. Da minimalisti pessimisti ci accontenteremmo, per il momento, di sottosegretari silenti, prudenti e senza carichi pendenti.
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