“Adesso vado dal presidente… e là gli dirò… quando hai avuto bisogno siamo intervenuti noi e ti abbiamo salvato la faccia e anche il culo … perché saresti andato di mezzo con certezza…”Insomma, erano proprio amiconi.Gad Lerner nota l’assenza oggi su Repubblica:
Troppo facile ironizzare sull’assenza del Cavaliere (vedrete che spunterà una buona scusa) -ma anche del padre-padrone della sanità lombarda Roberto Formigoni-alla camera ardente e al funerale del sacerdote fondatore del San Raffaele cui aveva appaltato perfino il ministero della Salute, nella persona di Ferruccio Fazio. Fa più impressione notare che l’estremo saluto all’uomo che impersonò la dimensione più misteriosa del potere milanese è stato disertato in blocco dai suoi esponenti danarosi ma pericolanti: quasi che temessero di partecipare non solo alle esequie di un sodale caduto in disgrazia, bensì alla celebrazione della propria rovina imminente. La Milano che conta se l’è data a gambe annusando chissà quali rivelazioni prossime venture. Già si sente orfana dell’altro grande vecchio di una stagione finita, Salvatore Ligresti, costretto a vendere i gioielli di famiglia nel tentativo di scongiurare il patatrac. E mentre attende tremebonda quali ammissioni possano fuoriuscire dal carcere in cui è detenuto il faccendiere ciellino Piero Daccò, subisce la violazione dell’omertà sulle “percentuali” che si dovevano pagare in ogni appalto importante, come testimoniato ieri dal costruttore Pierino Zammarchi recatosi in visita alla salma.
Ma non è finita qui, per le polemiche. Sempre da Repubblica:
L’ultimo addio di Milano a don Verzè sono due ore di camera ardente al Ciborio, lì, sotto la cupola esagerata che il prete che non era riuscito a farla più alta della Madonnina avevavoluto più larga di San Pietro. La bara già chiusa, la commozione soffocata dalle polemiche, con le note dell’Ave Maria cantata dall’amico Al Bano sopraffatte dalle dichiarazioni di un imprenditore che fa volare gli stracci parlando ditangenti, riportandola dolorosa attualità di un’inchiesta giudiziaria complicata in quello che poteva essere solo il giorno del dolore. E gettando un’ombra ancora più cupa sul futuro del grande gruppo ospedaliero. Pierino Zammarchi, indagato insieme al figlio nell’inchiesta sulla bancarotta del San Raffaele, comincia con un elogio: «Don Verzè — dice — era un uomo eccezionale». Ma poi continua: «Io ho lavorato anche per Rotelli al San Donato e anche lì si pagava la percentuale. Funziona così dappertutto e per chiunque vuole lavorare. Da Roma a M ilano, dalla Sicilia alla Sardegna».
Solo che si tratta di schermaglie d’affari:
Scende il gelo e arriva poco dopo una dichiarazione esterrefatta di Giuseppe Rotelli, il re della sanità lombarda che proprio nel giorno della morte di don Verzè, anche il giorno della chiusura dell’asta per il passaggio del San Raffaele, aveva presentato l’offerta più alta — 305 milioni di euro — diventando il più probabile acquirente. Rotelli, assistito dagli avvocati Marco De Luca e Giuseppe Lombardi, afferma: «Non ho mai conosciuto Zammarchi; escludo di aver mai ricevuto tangenti da chicchessia. Noto solo la singolarità di questa dichiarazione, che viene fatta solo dopo che è stata presentata l’offerta migliorativa per l’acquisto del San Raffaele». Ma Zam marchi, che ha costruito le opere edilizie dell’ ospedale di don Verzè, era entrato nel dettaglio: «Il sistema è che bisognava pagare. Non erano tangenti in senso stretto, ma si fa un contratto e si paga una percentuale, e questo nel pubblico avviene dappertutto». Parte di un sistema, aggiunge, «che va avanti da quando ho cominciato a lavorare io, nel Cinquanta». (giornalettismo)
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