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venerdì 23 marzo 2012

La Pistolera ha fatto ingiustizia

Anna Lombroso per il Simplicissimus
Così LaPistolera ha portato a termine il suo sporco lavoro, perchè lei ce l’ha un lavoro e sempre più garantito. Con la loro sussiegosa prolissità, didascalica, monocorde e inconfutabile, confortati dalla benedizione dell’alta carica, La Fornero e il suo boss  ci hanno comunicato che la dottrina della quale sono custodi impone di fare giustizia dei diritti, in nome “insindacabile” della loro suprema ingiustizia. E’ finito il tempo della concertazione cui preferiscono l’”esecuzione”, alla quale i nostri rappresentanti eletti ci hanno consegnato senza farci nemmeno esprimere l’ultimo desiderio.

Non so cosa direbbe la cabala a proposito dei due numeri, 81 e 18, vessilli  simbolici da ammainare con ignominia, nella loro querra senza quartiere alla democrazia. Una  maggioranza bulgara  sta approvando a tappe forzate la revisione dell’articolo 81 della nostra Costituzione per introdurvi l’obbligo del pareggio di bilancio, in modo tale da precludere anche un referendum confermativo, in modo da   colpire quel  residuo brandello di sovranità nazionale sui bilanci per sostituirle un dominio sovra nazione retta da organismi del tutto a-democratici.



Il pareggio di bilancio viene somministrato come la necessario medicina per una di quelle patologie degli eccessi e dell’opulenza, come il diabete o l’obesità. E come se la vera causa della crisi fosse unicamente il debito statale e non   quello privato, diventato pubblico e di tutti,  per via della diffusione capillare dell’indebitamento, per  il peso   dei fondi pensione   o dei derivati o di altri prodotti “trappola” sui mercati finanziari, ingiungendo   l’aiuto al sistema bancario da parte degli Stati. Così è diventato auspicabile  che gli istituti bancari vengano salvati dal denaro pubblico, malgrado il loro comportamento spesso criminale, ma anche che il debito privato accumulato induca nei singoli individui   la persuasione che si tratti di una colpa da espiare,  causata   da un eccesso dei propri desideri rispetto alle proprie possibilità, proprio come è avvenuto e avviene in Grecia.
L’austerità e i sacrifici come penitenza per i comportamenti dissipati pubblici, ha  l’effetto di penalizzare il welfare ma soprattutto l’obiettivo di erodere sovranità allo stato, inadeguato certamente, immiserito e impotente, ma comunque ostacolo all’egemonia del mercato, al primato della finanza rapace, alla sua cupola mondiale.

Fa parte di questo disegno l’adesione   al “marchionnismo”, proposto come archetipo con i disvalori della competizione e della catena del profitto al di là e indipendentemente dalle politiche statuali, quando non contro di esse, con l’imposizione di un sistema di relazioni industriali  senza patria né leggi, così potente e  sregolato da prescindere dai quadri normativi nei vari paesi in cui opera.

I due professionisti amici e  complici del fallimenti hanno idee chiare:  ridurre i salari favorendo la licenziabilità senza investire per creare posti nuovi di lavoro. A smentire l’ondivaga e irresoluta tendenza suicida del Pd, il  bilancio della riforma è tutto negativo:  per il  riordino degli ammortizzatori, calcolato per ridurre il peso sul bilancio pubblico di una disoccupazione realisticamente in aumento nell’attuale fase recessiva,  per il  filtro solo simbolico  alle tipologie dei contatti a tempo determinato, per il rilievo dato all’apprendistato come canale tutt’altro che garantito all’assunzione a tempo indeterminato, per la corta e magra indennità di disoccupazione (a carico di aziende e lavoratori occupati) a chi ha perso un lavoro dopo 52 settimane più o meno continuative in chiaro, tagliando fuori tutto il precariato o quasi.

LaFornero ammirata dalla stampa libera per il suo spregiudicato e virile pragmatismo, corona la visione thatcheriana, collocare il lavoro al posto che merita di variabile dipendente dello sviluppo capitalistico, unicamente  vincolato alla sua produttività, alla concorrenza e alle necessità di innovare sia il processo produttivo che i prodotti. È per questo motivo che tutte le conquiste novecentesche del movimento operaio dovevano e devono essere cancellate per garantire appunto una crescita emendata dallo scomodo e arcaico  conflitto di classe. Ma è colpa loro, dell’incapacità dello sviluppo capitalistica a garantire la piena occupazione, dell’inadeguatezza delle loro politiche a temperare i loro privilegi e la loro smania di accumulazione, se il lavoro si è ridotto a simbolo di povertà. Se ormai sono legioni  gli «intermittenti» che passano  da un indesiderato arruolamento nell’«esercito industriale di riserva» all’altrettanto indesiderato immissione in «bacini» dove le imprese attingono lavoro vivo in base alla contingenza economica. E se ormai anche le vittime del moderno caporalato  finiscono per sentirsi “salvati” rispetto ai più sommersi. Perché la disperazione prodotta da questo sbrigativo massacro di lavoro, diritti e democrazia che con invidiabile aplomb, Mario Draghi ha definito la «fine del modello sociale europeo» ha finito per rompere ogni vincolo di solidarietà, per mandare in frantumi la dignità.  Ma ci resta una ricchezza che non conoscono, anche se la temono, e che non dobbiamo farci portar via, la libertà. Quella di non ubbidire.

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