Pagine

lunedì 23 gennaio 2012

Finalmente la mafia avrà la galera privata

Licia Satirico per il Simplicissimus
A Palermo, proprio nei pressi del carcere dell’Ucciardone, sorge l’Ucciardhome: arredato in stile minimalista con l’impiego di materiali pregiati, combina l’ospitalità siciliana con servizi quattro stelle. Si tratta di un albergo sofisticato, ma se avete pensato per un attimo a un penitenziario gestito in modo alternativo non vi siete allontanati troppo dal nuovo che avanza. Mentre i taxisti lanciavano petardi contro il governo “comunista” e i farmacisti furiosi annunciavano serrate di protesta, l’ingegnoso decreto sulle liberalizzazioni si spingeva molto più avanti, fino a privatizzare l’edilizia carceraria prossima ventura. L’art. 44 del decreto, intitolato “Project financing per la realizzazione di infrastrutture carcerarie”, risolve l’emergenza da sovraffollamento affidando a concessionari privati la costruzione di nuovi istituti di pena. Lo Stato assicurerà condizioni, modalità e limiti di attuazione della concessione, di durata non superiore a vent’anni: i privati metteranno i capitali e si assumeranno l’alea della costruzione e della gestione dei penitenziari, ricevendo una tariffa per l’amministrazione dell’infrastruttura e dei servizi connessi, custodia dei detenuti esclusa. L’ultimo comma della disposizione prevede inoltre che l’offerta del privato concessionario debba includere il contributo delle fondazioni bancarie alla realizzazione dei penitenziari, nella misura di “almeno il venti per cento del costo di investimento”: le banche parteciperanno, d’ora in avanti, anche all’edificazione delle patrie galere, generando il possibile circolo vizioso rapina-cella.

Una notizia del genere, inesplicabilmente oscurata dalle testate giornalistiche nazionali, si porta appresso una serie di domande senza risposta. C’è da chiedersi, in primo luogo, in che termini si concilino i penitenziari privati con i 57 milioni di euro già stanziati per l’edilizia carceraria dal provvedimento “svuota carceri”: l’art. 44 del decreto sulle liberalizzazioni pone infatti gli oneri economici della costruzione delle strutture interamente a carico dei privati, limitandosi a corrispondere una tariffa “a titolo di prezzo”.


Ma qui si cela un nuovo dubbio, ben più destabilizzante del precedente: quale soggetto privato può avere interesse a investire cospicui capitali nella costruzione e nell’amministrazione di istituti di pena in cambio di una tariffa? Chi ci assicura che non siano gli stessi “soggetti privati”, notoriamente dotati di capitali a fondo perduto, che hanno a cuore il benessere di certo tipo di detenuti? Le infiltrazioni della criminalità organizzata nella gestione di appalti e servizi pubblici non fanno parte dell’immaginazione e nemmeno della letteratura, e il fronte dell’edilizia carceraria offre possibilità finora inedite: c’è da chiedersi, con Giovenale, chi sorveglierà i sorveglianti.

Non sappiamo ancora, poi, quali saranno i parametri di determinazione dell’ammontare della tariffa, se la “qualità” del servizio o il numero complessivo dei detenuti. In quest’ultima eventualità è facile continuare a ipotizzare penitenziari intasati e gestiti con criteri di “efficienza” decisamente più inquietanti del solito. Negli Stati Uniti e in Australia, dove le carceri sono già state privatizzate, si costruiscono sempre più penitenziari, e le lobby del settore fanno pressione su autorità governative e magistratura per un incremento – a dir poco sospetto – del tasso di carcerazione. Non è dato sapere, tra l’altro, chi saranno i detenuti destinati ai nuovi penitenziari: quali reati esigeranno l’espiazione in una prigione pubblica e quali, invece, si accontenteranno di una prigione privata?

Dopo lo scivolone delle “ronde”, miseramente fallito, si tenta ancora una volta di delegare a privati aspetti fondamentali della sicurezza pubblica: è l’ennesimo tradimento dello Stato di diritto, la cifra ideologica della disuguaglianza che ci divide. Insieme alla notizia della creazione dei tribunali d’impresa, la nascita delle carceri private rafforza l’impressione tristissima di una giustizia a ranghi differenti, dove l’imputato e il condannato hanno statuti diversi, diversi destini e ora persino diversi penitenziari. Per favorire la crescita del Paese, s’intende.

Nessun commento:

Posta un commento