Pagine

domenica 15 gennaio 2012

Ogni limite ha la sua pazienza

Anna Lombroso per il Simplicissimus
C’è chi dice che l’assalto mosso dal neo liberismo per la conquista del pianeta sia la terza guerra mondiale. E in tempi di egemonia dell’immaterialità potrebbe essere questa la forma dei conflitti, un esercizio di sopraffazione del potere del mercato operata da pochi sui molti. Se sono cambiati gli eserciti, quindi, non è cambiato il signore della guerra e la lotta non è meno cruenta. Non si vede magari scorrere tutto quel sangue nelle trincee come nel secolo breve. Ma è sempre più abissale la differenza sociale, la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi che sfruttano e ricattano i più, sono sempre più numerosi i popoli erranti che sfuggono alla fame e alla disperazione, è sempre più stretto il vincolo tra crimine e potere, è sempre più fragile l’equilibrio degli stati e perfino della moneta e sempre più poderoso il gioco d’azzardo della finanza aerea ma rapace.

Molti sono gli stravolgimenti che hanno turbato la nostra contemporaneità investendo convinzioni, ideologie, valori, aspettative. I sociologi che sconfinano sempre di più nella letteratura ci informano periodicamente su quale potrebbe essere lo spirito del tempo di questa età dell’incertezza: risentimento, diffidenza, invidia, paura, vergogna. È che le parole soffrono la stessa indeterminatezza delle cognizioni e dei pensieri che vogliono esprimere.

È cambiata l’idea di abbondanza. C’è chi dice che l´unica via all´abbondanza sia la frugalità, perché permette di soddisfare tutti i bisogni senza creare povertà e infelicità, sostenendo che l´unica società della fertile ricchezza della storia umana sia stata quella del paleolitico, perché allora gli uomini avevano pochi bisogni e potevano soddisfare tutte le loro necessità con solo due o tre ore di attività al giorno dedicando il resto del tempo al gioco, alla festa, allo stare insieme.


È cambiata l’idea di pace, rispetto al “Progetto per una pace perpetua”: ci siamo abituati agli eserciti permanenti e alle loro insegne più o meno sofisticate, così come siamo assuefatti a ogni tipo di scaramuccia o di massacro purchè stiamo dalla parte dei vincenti o si svolga lontano, respiriamo un’ostilità che ci pare sopportabile a condizione che non ci colpisca direttamente, stiamo accoccolati nella nostra pretesa “superiorità” come un’arma di offesa.

E questo ha mutato anche il concetto di felicità nella verità dell’al di qua. Che coincide ormai con il benessere le garanzie, il potere d’acquisto e di consumo, più che con l’armoniosa convivenza con noi stessi e con gli altri, più che con la capacità di godere delle delizie della vita.

Colpa della macchina del Progresso che sembra funzionare al contrario rispetto alle aspettative dei «progressisti»: se alle origini della modernità prometteva se non l’Eguaglianza, per lo meno una realistica aspettativa di “imparzialità”, oggi si rivela, all’opposto, veicolo di distanziamento.

E’ cambiato il senso dell’Eguaglianza, che era stata il grande motore culturale e politico della modernità, il valore di riconoscimento e identificazione . Dalla constatazione della innata eguaglianza degli uomini aveva preso origine la modernità politica, con l’idea del contratto sociale, della legge eguale per tutti, dei diritti civili, e poi politici e sociali. Dalla domanda di eguaglianza – o per lo meno di una più giusta ripartizione dei beni essenziali, dall’idea di «giustizia sociale» – erano scaturiti i moderni conflitti sociali e le relative forme istituzionali, le grandi organizzazioni politiche e sindacali, il «movimento operaio», i sistemi di sicurezza sociale e di assistenza. Persino il progresso delle nazioni era letto attraverso i gradi via via più estesi di riduzione delle distanze sociali e le condizioni via via più eguali tra gli uomini. L’Eguaglianza era la misura dell’avanzamento nel tempo delle società e l’ingrediente fondamentale dei movimenti di massa che ne hanno scandito la storia. Non è più così: i poveri del mondo, in movimento ma non quello futurista dinamico lungimirante dell’inizio del secolo breve. Per loro il «movimento» non è più quello politico e rivendicativo, è quello fisico: il migrare, di chi rischia per risalire la china delle distanze economiche e sociali riducendo la distanza geografica anziché quella sociale: non più rivendicando il trasferimento di una parte della ricchezza accaparrata dai primi agli ultimi, ma trasferendosi nei luoghi dei «primi». «Cambiando cielo», insomma.

E vorrebbero cambiare cielo anche i nostri “immiseriti”, i ricchi rispetto ai migranti, ma poveri rispetto ai propri concittadini. Quelli che erano stati sfiorati da un provvisorio benessere, o almeno la promessa di esso, e ora avvertono la sua perdita, per i quali resta la corsa. Per sopravvivere in un’azione convulsa come quella dei topolino sulla scaletta dentro alla gabbia, per pagare mutui, fronteggiare debiti. Per loro riconquistare uno status significa ormai non più salire una scala sociale divenuta impervia, ma ricerare qualcuno da guardare «dall’alto» (qualcuno più «diseguale» di noi), secondo un miserabile esercizio id sopraffazione amplificato dalle «retoriche» populiste, neo razziste, localiste – dei penultimi che tentano di spingere più in basso gli ultimi.

Anche i privilegi non sono più gli stessi, confusi in questo risentimento piatto, in questo odio sociale orizzontale che prende di mira chi è allo stesso livello e chi sta sotto più dell’invidiato e ammirato “superiore”.

Sembra un privilegio ambito quello dell’impunità e dell’immunità, per poter sbrigare le proprie faccende indisturbati, senza pagare, si tratti di responsabilità, regole, tasse, ruolo, vacanze, lavoro, perfino rispetto e amore.

Si brontola ma ci si accontenta se qualche beneficio si conserva, a discapito di equità, diritti, libertà

Pare non ci sia una Bastiglia da assaltare, un palazzo d’inverno sui cui marciare: il potere assoluto di oggi è variegato, immateriale, policentrico, dissipativo, onnipresente e tuttavia disarticolato. Più facile lagnarsi per il ristorante del Senato dunque, che per l’erosione delle regole democratiche, meno impegnativo brontolare per i vitalizi dei politici che per la diffusione inarrestabili di tremende disuguaglianze, che permettono permesso a chi sta “su” di accelerare la corsa verso il controllo di quote crescenti della ricchezza globale, facendo ancor più precipitare chi già stava in fondo.

Forse la “parola” del nostro tempo è la pazienza, che non è detto sia una virtù.

Nessun commento:

Posta un commento