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martedì 13 marzo 2012

Corruzione: la longa manus di Silvio

Licia Satirico per il Simplicissimus
Uno spettro si aggira per il governo tecnico. No, non è l’articolo 18: quello è un dead man walking la cui esecuzione è stata fissata da LaFornero tra il 21 e il 23 marzo, in concomitanza crudele con l’equinozio di primavera. Lo spettro di cui stiamo parlando è un’antica ossessione che nasce tra narrazioni ventennali di costituzioni sovietiche e giudici bolscevichi: la riforma condivisa della giustizia. Questa è appunto l’originale sollecitazione formulata da Michele Vietti, presente a un convegno torinese del Csm sulla magistratura nella storia d’Italia. Nella stessa occasione Paola Severino ha auspicato che la magistratura sia sottoposta a verifiche “serie ed oggettive” da parte del suo organo disciplinare: verifiche «che guardino anche ai risultati ottenuti e si mantengano lontane da logiche corporative».
Secondo certe filosofie New Age le coincidenze non esistono. Per uno spirito laico e malpensante, le coincidenze sono quanto meno motivo di riflessione. Ed è certamente strano che lo spettro condiviso in questione sia evocato subito dopo la duplice turbolenza di Angelino Alfano, che in pochi giorni ha prima disertato il vertice di maggioranza su Rai e giustizia e poi tuonato contro i commenti violenti del partito dei pm sulla sentenza Dell’Utri.



 Secondo l’ex ministro della giustizia «la magistratura è divisa in partiti che per eufemismo si chiamano correnti; correnti che fanno congressi e che hanno iscritti»: sono le “logiche corporative” cui pare alludere anche il ministro in carica, in piena sintonia col suo predecessore. Sarebbe troppo facile, a questo punto, rimarcare che le troike della magistratura sono più democratiche del Pdl, che non fa congressi e non elegge segretari, vantando defunti e cacciatori ignari tra i suoi tesserati. Ancora più facile sarebbe notare la sorprendente semplicità con cui l’efficiente governo Monti, implacabile su altri fronti, sia subito paralizzato dai diktat del Pdl su televisioni e giudici: il nuovo incontro di giovedì prossimo è ancora subordinato al superamento dei veti preventivi di Angelino.

Più preoccupante è il riferimento della Guardasigilli Severino alle verifiche “serie e oggettive” che dovranno interessare in futuro il terzo potere dello Stato. L’introduzione di verifiche serie e oggettive presuppone, in un certo senso, che le verifiche del Csm sull’operato dei magistrati siano state finora facete e soggettive, forse a causa del fenomeno carsico delle correnti. È peraltro una deduzione possibile, se solo si pensa alle polemiche sorte sull’ultima sentenza Dell’Utri. In un’intervista a Repubblica, Giancarlo Caselli ha ricordato l’inaudita severità dell’organo disciplinare dei magistrati per affermazioni molto meno imbarazzanti di quelle con cui procuratore generale Iacoviello ha demolito il concorso esterno in associazione mafiosa, destrutturandolo come una sorta di amico immaginario. Sulla composizione del collegio giudicante del processo Dell’Utri il Csm ha aperto una pratica “a tutela”, anche se non è semplice capire chi sia il tutelato.

Ci chiediamo, in verità, come saranno articolate le verifiche “serie e oggettive” sulla professionalità dei magistrati in una riforma della giustizia condizionata dal partito di Silvio Berlusconi, e se le verifiche “serie e oggettive” non debbano riguardare in primo luogo i componenti del Csm. Il pensiero corre proprio ai cosiddetti membri laici, oggi lottizzati tra Pdl, UdC e D’Alema. Anche la Lega – nel suo piccolo – aveva ottenuto uno scranno, ma il consigliere Brigandì è riuscito incredibilmente a farsi dichiarare decaduto per conflitto di interessi: non prima di aver fornito al “Giornale” gli atti di un vecchio procedimento a carico di Ilda Boccassini. Chi verificherà i verificatori? E cosa sarà oggetto di verifica nella riforma condivisa della giustizia?
Per la Severino il potere giudiziario «può pericolosamente trasformarsi in arbitrio se non è sorretto da un altrettanto robusto senso di responsabilità»: parole che suonano amare dopo la sentenza Dell’Utri, dopo la conclusione del processo Mills, dopo i moniti del Capo dello Stato verso i comportamenti “esorbitanti” dei magistrati indisciplinati, dopo la recente rivelazione dei tormenti umani di Paolo Borsellino per il sospetto della trattativa Stato-mafia. Parole addirittura beffarde di fronte all’annuncio di una riorganizzazione degli uffici giudiziari che assomiglia moltissimo a un taglio delle sedi.

Nel frattempo, il Pdl punta all’ennesimo rinvio del disegno di legge sulla corruzione, scoprendo improvvisamente che la priorità di questo paese è l’economia. Chi pensa che il berlusconismo sia una parentesi chiusa, che questo sia un momento di tregua per decisive riforme costituzionali si sbaglia: l’idea stessa di giustizia, nel nostro Paese, non è condivisa.

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