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domenica 22 luglio 2012

Poligamia e monoidiozia

Anna Lombroso per il Simplicissimus
Buona domenica. Mentre Bossi ricorda che al Nord si “fanno i fucili”, la Curia di Milano spara già: con il registro delle unioni civili voluto dal Comune, “c’è il rischio che equiparare la famiglia fondata sul matrimonio e l’unione civile porti a legittimare la poligamia”.

Autore dell’invettiva contro quest’altro “contagio” è tal Alfonso Colzani, responsabile del Servizio per la famiglia della Diocesi, in una riflessione che sarà pubblicata domani su Milano7, il settimanale della Chiesa ambrosiana in edicola con Avvenire, definito dal Corriere della sera “laico”, non si sa se in quanto coniugato con 4 figli o più probabilmente perché non indossa la tonaca bianca e nera di Torquemada, preferendole un sobrio abito grigio da professore della Bocconi. E proprio come i docenti al governo, la sua ossessione è fare i diritti a fettine, in modo da accentuare le disuguaglianze, esasperare le differenze, esaltare i privilegi e fare delle garanzie un bene da erogare con circospezione e solo agli affini, agli ammessi, agli allineati, agli ubbidienti.



“Le famiglie che hanno sancito la loro unione con un matrimonio, sia civile sia religioso, in Italia sono nell’ordine della decina di milioni contro le 500 mila convivenze – continua il portavoce della Curia – Il sostegno è da indirizzare a chi con il matrimonio si prende impegni pubblici e stabili verso la società diventandone una risorsa”, facendo immaginare che i candidati poligami non paghino le tasse – e d’altra parte si erano già fatti sfuggire che gli omosessuali sono “infedeli” alla collettività come gli evasori – non facciano la raccolta differenziata, manomettano i fanali stradali e magari vogliano mettere in vendita l’acqua pubblica come qualcuno di nostra conoscenza.

Si c’è proprio una coincidenza di interessi che unisce ideologia di governo e teologia del governo della chiesa: dividere, rompere patti di solidarietà, scardinare l’edificio delle relazioni sociali, interrompere i processi di civilizzazione che dovrebbero aspirare invece alla coesione, al riconoscimento del diritto di essere diversi nell’uguaglianza, e che poi dovrebbero essere un caposaldo della democrazia.

Pare ci sia proprio una vocazione al golpismo, a cominciare da quello “morale”, che vuole condannarci a un’etica di stato coincidente non casualmente con principi confessionali, e che impone una “recessione” rispetto alle abitudini, alla comprensione delle inclinazioni e delle scelte, ormai riconosciute e “normali”.
«Il concetto di matrimonio ha una sua precisa specificità e storia millenaria – dice l’implacabile Colzani – Non può essere confuso con le unioni omosessuali». Ma alla Curia, statene certi, come alla Bindi fanno paura tutte le “unioni civili”, salvo quella di Casini e di altri divorziati ma tacitamente redenti. La loro non è solo la diffidenza ostile dell’integralismo nei confronti della rivendicazione delle libere scelte, delle naturali inclinazioni e di un amore affrancato dalle convenzioni, dagli obblighi del perbenismo e dai vincoli dell’ipocrisia. È anche l’esercizio autoritario di un “controllo sociale” fondato sulle pulsioni più infami, sui risentimenti e sulle paure più ancestrali, quelli del diverso, dello straniero, dell’altro da noi. Proprio come nella peggior propaganda leghista lo spauracchio è l’”infedele” alle convenzioni prima ancora che al Dio italiano: “L’uomo poligamo immigrato a Milano, di fatti, potrebbe richiedere il riconoscimento della propria convivenza con tutte le sue mogli come unione civile, posto che il registro non limiterebbe tale unione solo a quella tra due persone. Il Comune di Milano, che non si propone solo di registrare bensì anche di tutelare e sostenere le unioni civili, finirebbe così per tutelare e sostenere un istituto quale la poligamia che nel nostro ordinamento è ritenuto contrario all’ordine’’.

L’ordine che piace alla Curia, che piace a Monti, che piace a Marchionne, non può piacere a noi, è ristabilito con l’obbligo ad aderire a un modello sociale e economico che induce alla “servitù”, all’omologazione, al conformismo nelle abitudini, nelle convinzioni, nelle idee, pena l’espulsione, l’emarginazione, la condanna morale. Che vale per molti, troppi, rispetto a cerchie di pochi, pochissimi, protetti da una separatezza superiore e ostile, quella dedita alla conservazione di privilegi e poteri assoluti e crudeli.

Si c’è qualcosa di profondamente disumano ed efferato in una gerarchia ecclesiastica che crea e applica le divisioni, che conferma la condizione di reietto, che consolida l’esclusione. C’è qualcosa di profondamente incivile in una chiesa che si richiama alle leggi dello stato per riceverne benefici, respingendone responsabilità e obblighi di cittadinanza. C’è qualcosa di profondamente antidemocratico in politici che in nome della loro fede si sottraggono all’impegno di rappresentanza della volontà e delle aspirazioni della collettività. E c’è qualcosa di profondamente barbaro in quanti, dediti all’accidiosa castità, rivendicano il valore superiore di una perseverante astinenza dall’amore per un altro in nome di un nominale amore “universale” che induce gerarchie di valori e intermittenza di diritti e rifiuti, tra meritevoli e indegni, ammessi e respinti, accolti e esclusi, salvati e sommersi.

La loro campagna elettorale è sempre in corso, ma noi non votiamoli più.

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