Licia Satirico per il Simplicissimus
Linneo sarebbe in difficoltà. Per definirlo è stata scomodata l’intera fauna ittica, insieme ad animali immaginari degni del bestiario di Borges: Toti Lombardo, erede designato di Don Raffaele all’Assemblea regionale siciliana, non vuole essere chiamato trota né tonno e nemmeno pescecane. Pare gli vada a genio il pescespada: pesce romantico, decisamente poco adatto alle campagne elettorali. A Catania il delfino, che insiste di non essere un pesce, è però già diventato “u porcu cani”.
La candidatura della creatura è stata presentata da Raffaele Lombardo in persona al cinema Odeon di Catania. Qui Toti ha pronunciato la storica frase “papà, porterò avanti il tuo sogno” davanti al padre, alla madre, alla nonna Saveria, allo zio Angelo (in odore in tradimento) e a Gianfranco Miccichè. Soprattutto, Lombardo jr ha ottenuto la sua solenne investitura politica davanti alla foltissima schiera di direttori sanitari e dirigenti regionali nominati dal padre prima, durante e dopo le dimissioni più lunghe della storia della Repubblica. Stiamo ovviamente parlando di quelli a piede libero, visto che Don Raffaele è riuscito a nominare anche un detenuto alla presidenza del collegio dei sindaci di Sicilia Servizi.
In verità don Raffaele ha fatto molto peggio, dato che la Regione Sicilia vanta un buco di 5,3 miliardi di euro di cui nessuno, in questo momento, pare curarsi. Adesso l’attenzione grava morbosa sull’elezione dei deputati regionali più pagati d’Italia, con una gratifica mensile oscillante tra i 15 e i 20 mila euro che include stipendio, diaria, spese per lo svolgimento del mandato e indennità di soggiorno. Mentre don Raffaele chiede a tutti di “dare una mano al picciriddu”, l’instancabile Toti, studente di giurisprudenza poco più che ventenne, passa da un incontro all’altro. Oggi, in un’intervista all’edizione palermitana di Repubblica, Lombardino annuncia una svolta storica: d’ora in avanti non avrà paura di fare comizi per mostrare di che pasta sia fatto. Pare che ne farà addirittura quattro o cinque da qui al 28 ottobre, recandosi a Caltagirone e a Grammichele, paese d’origine della famiglia Lombardo: «io non mi nascondo, non sono il Trota. Andrò incontro a qualche insulto, ma pazienza. Ho fatto il callo anche a sofferenze più grandi, in questi anni».
Fin qui Toti può persino dare l’impressione di essere ingenuo. In un altro passaggio dell’intervista, però, la sua vena di Viceré affiora sferzante. All’osservazione del cronista sul formidabile potere clientelare del padre, Lombardo jr replica che «papà è un grande politico che si è formato dentro una grande scuola come la Dc. Vedo troppa ipocrisia in giro: amministratori di destra e di sinistra, in questi anni, hanno nominato consulenti amici».
In sole tre righe il giovane Toti celebra un de profundis sulle speranze di riscatto morale dei siciliani, senza toccare il tema irrisolto dei rapporti tra la Dc isolana e Cosa Nostra: il clientelismo è la base storica della politica italiana, lo coltivano tutti e la famiglia Lombardo ha il pregio di esibirlo alla luce del sole insieme al più sfacciato familismo dinastico. L’understatement di Lombardo jr si condensa nella sua frase di congedo: «mi auguro di non arrivare primo, altrimenti passerei per raccomandato. Mi basta un terzo posto…».
Possiamo rassicurare il giovane Lombardo: non è raccomandato, ma designato da tempo immemorabile in una concezione del potere che si tramanda di padre in figlio, dove il figlio raccoglie i contatti del padre e li amplia con ulteriori ramificazioni. Toti è eletto, nel senso di scelto, dal padre e poi eletto, nel senso di votato, di conseguenza. Non era facile condensare in un solo volto, in un sol nome, i difetti genetici del nostro Paese: la tendenza a considerare la cosa pubblica come un fatto personale o familiare, la trasformazione dei diritti in privilegi e degli eletti in privilegiati, l’opacità amministrativa che diventa baratro, gli ammiccamenti maliziosi con tutte le forze politiche disponibili e pure con quelle improponibili.
Non può nemmeno dirsi che Toti sia il frutto di una morale a doppio binario, perché quella della famiglia Lombardo è dichiaratamente a senso unico (ispirata, semmai, al marchese del Grillo). Toti non fa errori di grammatica, misura le risposte, descrive il padre come un santo, incontra i suoi elettori e non compra lauree in Albania: per questo fa molta più paura del Trota, rappresentandone una versione quasi presentabile. Sempre che i comizi contumeliosi dell’ultimo pesce ereditario non dimostrino ancora, com’è accaduto per il Trota, che le colpe dei figli possono travolgere i padri.
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