Pagine

giovedì 6 giugno 2013

No, questo non è un paese per esseri umani


StefanoCucchi_02Anna Lombroso per il Simplicissimus
E c’è chi dice che questo non è un paese per donne. E c’è chi dice che questo non è un paese per vecchi. E c’è chi dice che questo non è un paese per giovani.
È probabile invece che questo non sia un paese per i suoi cittadini e per i loro diritti. E che questo non sia un mondo per gli “umani”, se per umanità intendiamo il controllo della ferocia, il governo dell’irrazionalità, il contrasto alla sopraffazione dei più forti sui più deboli, l’esercizio solidale della compassione, quella che fa condividere come compagni, il pane, la tristezza, il dolore, l’amore  e il bene.

Guai essere deboli, guai essere costretti a consegnarsi a una autorità, civile, morale, politica, ormai. Sempre di più si viene espropriati del poco che si è conservato, la dignità, le sicurezze, le garanzie, l’identità e infine anche  il proprio corpo. Che deve essere giovane, levigato, sodo, sano, robusto, per piacere o per servire, con un numero tatuato per il riconoscimento nell’esercito di nuove schiavitù
Si, guai  essere senza lavoro, guai essere precari, guai essere donne senza reddito e senza indipendenza, guai essere ragazzi senza soldi e senza futuro, guai essere deboli, malati,  vecchi, perché il ricatto diventa inesorabile, le ferite e le botte mortali, l’esproprio del sé, dell’umanità che risiede ancora in noi diventa implacabile, contro persone ridotte a rifiuto di cui disfarsi, rottame vergognoso da rimuovere,  oggetto sul quale esercitare potenza e indifferenza.

Succede in carcere, dove puoi essere dimenticato, picchiato, umiliato. Succede in ospedale dove obiettori in nome di una morale pubblica e di interessi privati possono decidere della tua vita e soprattutto della tua morte, prorogata a scopo propagandistico, negata anche quando la vita non è più vita. Succede in fabbrica come succede nella città intorno alla fabbrica. Perché alla fine i nostri corpi sono l’ultima proprietà che ci resta, una volta smantellato l’edificio di diritti, di garanzie, di libertà, di sicurezze, così il corpo di chi si vuole ridurre in schiavitù diventa oggetto di negoziato, di scambio, di profittevole prepotenza e di  ricatto: la sua salute contro il posto di lavoro, i veleni per garantirsi l’occupazione.



Si, guai a essere vulnerabili e peggio se sei già vulnerato,  guai se sei fuori dalle regole in virtù della tua debolezza,  guai se ti lamenti e chiedi aiuto, guai se l’aiuto non te lo puoi comprare, guai se ti ribelli, che anche il reclamo è riservato a chi ha e può, guai se chiedi che venga rispettato il patto tra cittadini e Stato, istituzioni, autorità, perché se sei debole non hai più nemmeno il diritto a essere cittadino e gli altri ti possono negare anche il diritto ad avere giustizia, perfino postuma, a Rebibbia come a Taranto.

Dobbiamo preoccuparci della giustizia che si deve esercitare  nei confronti dei deboli, dei marginali, dei diseredati, degli espropriati di tutto, perfino del loro corpo, affidato a poteri che non ne hanno cura e lo disprezzano come una merce inservibile. Perché in un mondo che non è fatto per gli uomini, siamo tutti a rischio. Gridare contro il sopruso, ribellarci all’ingiustizia, è la nostra difesa.

Nessun commento:

Posta un commento