Dovrebbe essere una vera e propria emergenza nazionale, uno dei primissimi punti dell'azione del nuovo governo Monti: la corruzione che strozza il Paese. E spesso lo fa dalla testa: politici, amministratori locali, manager. Quella che dovrebbe essere l'élite di una comunità ne diventa la zavorra più pesante. Materia da trattare nelle aule dei tribunali, fardello pesante che ingolfa la macchina della giustizia. Ovviamente non c'è solo Berlusconi. A processo quest'anno troveremo un pezzo della classe dirigente. L'Italia peggiore.
Risultato: nella classifica del Corruption perception index redatta ogni anno dall’organizzazione non governativa Transparency International l’Italia è scivolata nel 2011 dal 67esimo al 69esimo posto, seguita tra i Paesi dell’Unione europea solo dalla Grecia. “L’indicatore della corruzione precipita – spiega Maria Teresa Brassiolo, presidente di Transparency International Italia – influenza il rating del nostro Paese e quindi anche lo spread”. Come a dire: le conseguenze economiche delle tangenti sono più gravi di quanto si pensi. “Rispetto al resto del Continente – continua Brassiolo – in Italia è molto più diffusa la piccola corruzione”. I protagonisti del malcostume non sono quindi tanto i manager delle grandi multinazionali, poco numerose da noi, ma l’imprenditore locale, l’assessore del piccolo Comune, il consigliere della municipalizzata o il funzionario pubblico. Fenomeno che secondo Brassiolo dipende dal fatto che “in Italia c’è una tolleranza maggiore dei cittadini alle situazioni ingiuste e all’illegalità: sono in tanti a cercare di trarne vantaggio, senza scandalizzarsi”. A un cittadino, insomma, viene chiesta una mazzetta. E lui, anziché indignarsi e sporgere denuncia come accadrebbe in altri Paesi, spesso si accorda con la controparte.
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