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lunedì 2 aprile 2012

Timidi passi verso una Open Cardiology

Hanno fondato insieme una bella rivista, Circulation: Cardiovascular Quality and Outcomes e, sempre di comune accordo, offrono le pagine del loro periodico ad una causa tanto nobile quanto temuta negli ambienti accademici: quella della Open Science.

Harlan M. Krumholz e John S. Spertus hanno dato a quattro moschettieri del data sharing come Peter C. Gøtzsche, Joseph S. Ross, Richard Lehman e Cary P. Gross la possibilità di spiegare le ragioni per cui il libero accesso ai dati della ricerca è una condizione imprescindibile per garantire la migliore assistenza al paziente.

La panoramica che risulta dalle due Editor’s Perspectives è agghiacciante:

a due anni dalla loro conclusione, meno della metà degli studi è pubblicata,

solo il 46% dei trial finanziati dai National Institutes of Health è pubblicato entro 30 mesi dal completamento,

meno della metà degli studi su nuovi farmaci sottoposti per approvazione alla Food and Drug Administration esce entro cinque anni dall’approvazione del medicinale stesso,

il 24% dei trial resta non pubblicato a cinque anni,

anche gli studi con risultati positivi sono a rischio: uno su tre non vede la luce.


Pure il lavoro dei revisori sistematici è pesantemente condizionato. L’esistenza di studi fantasma modifica le conclusioni delle revisioni nel 92% dei casi: in altre parole, nove volte su dieci una revisione vale poco o niente proprio perché non ha potuto prendere in considerazione l’intero insieme delle ricerche effettuate.

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